Omotransfobia: legislazione mal formulata e inopportuna. Troppo spazio a discrezionalità interpretativa del giudice

"Una legislazione in materia penale mal formulata e, per così dire, improvvisata", che appare, "da un punto di vista assolutamente laico, del tutto inopportuna". A definire in questi termini il ddl Zan contro l'omotransfobia è in una nota per il Sir Damiano Nocilla, consigliere di Stato e presidente centrale dell'Unione giuristi cattolici italiani (Ugci), secondo il quale le modificazioni proposte alla legislazione vigente, "lungi dal fare chiarezza e sciogliere le ambiguità, accrescono la confusione ed aggiungono ulteriori elementi di oscurità". Secondo il giurista, inoltre, viene lasciato "troppo spazio alla discrezionalità interpretativa del giudice"

Due premesse. La prima: come cristiano sono favorevole a tutto ciò che può servire ad una maggiore tutela della dignità delle persone, quale che ne sia l’orientamento sessuale, e ad assicurare che nessuno venga sottoposto all’emarginazione da parte della società. La seconda: nel momento in cui scrivo la situazione appare ancora in evoluzione, non essendo definito il testo che la Commissione licenzierà per l’Aula; il che legittima a prendere in considerazione la proposta di testo unificato predisposta dall’on. Zan, avvertendo che forse qualcuna delle cose che dirò potrebbe apparire superata dal dibattito in corso. Facciamo un passo indietro: le modificazioni alla legislazione vigente proposte dall’on. Zan incidono su un contesto normativo, che non brillava per chiarezza e conteneva non poche ambiguità. Ma esse, lungi dal fare chiarezza e sciogliere le ambiguità, accrescono la confusione ed aggiungono ulteriori elementi di oscurità. Mi limiterei a fare alcuni esempi per sommi capi.

In primo luogo, il testo dell’art. 604 bis c.p. (il quale come è noto, era nato dalla necessità di dare esecuzione ad una Convenzione internazionale) contiene come lo stesso On.le Zan ha fatto presente in un’intervista all’Avvenire, tre ipotesi di reato. Alla lettera a) si descrivono due fattispecie: quella, in cui incorre colui che “diffonde in qualsiasi modo idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico” , e quella in cui si contemplano i comportamenti che incitano (hate speech) a commettere o commettano “atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”, ai quali si aggiungerebbero, secondo le modifiche Zan (che peraltro non vengono imposte da obblighi assunti in sede internazionale), “i motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere”.

Messe da parte le ipotesi di reato di cui alla lettera b), cioè i c.d. hate crimes, con la quale espressione si vogliono indicare comportamenti, che già di per sé, in quanto atti di violenza, costituiscono reato e che si qualificano esclusivamente per i motivi che li determinano, occorre soffermarsi sulle fattispecie genericamente e confusamente descritte dalla lettera a), in quanto la prima sembrerebbe prevedere un mero reato di opinione, riferendosi solo alla diffusione di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico (onde potrebbe essere reato pubblicare, per tirar le cose per i capelli, un libro come la Bibbia, per la parte in cui si fonda sull’idea del popolo ebraico come solo popolo eletto).

Salvo che, così delimitata, la fattispecie di cui alla prima parte della lettera a) , si avvicina all’istigazione a commettere atti di discriminazione; sicché essa finirebbe per confondersi con quella della seconda parte, superando il labile ed impercettibile confine tra l’espressione di un’opinione e l’istigazione a compiere un’attività considerata con disvalore dall’ordinamento giuridico: prova ne sia che l’istigazione resta reato anche quando non raggiunge il suo fine. Semplici manifestazioni di pensiero potrebbero esser viste come incitamento ad azioni discriminatrici: anche la mera condanna morale di pratiche omossessuali o la mera esaltazione della famiglia come società naturale (sottolineo “naturale”) fondata sul matrimonio (v. art. 29 Cost.) rischia di costituire istigazione a comportamenti discriminanti o omofobi, così come ogni propaganda basata sullo slogan “prima gli italiani” rischia di costituire istigazione a comportamenti discriminatori per motivi “nazionali”. A questa punto, però, si pone un problema di compatibilità con l’art. 21 Cost. e, per quanto riguarda la funzione docente della Chiesa Cattolica, con l’art. 2 dell’Accordo tra Italia e S. Sede del 18 febbraio 1984.

Ma vi è qualcosa di più. La distinzione, su cui insiste l’on. Zan, tra la prima e la seconda fattispecie di reato, previste dalla lettera a) dell’art. 604 bis c.p., era basata su un dato letterale assai labile: e cioè, come sottolineato dal Prof. Mirabelli sempre sull’Avvenire, sul fatto che le due ipotesi sono separate tra loro da una virgola, seguita da un “ovvero”. Ben poca cosa per impedire che i giudici cedano a quel fenomeno attrattivo della seconda fattispecie di reato in direzione della prima fattispecie. Cedimento che verrà incoraggiato anche dalla modifica che la proposta Zan introduce al testo della rubrica dell’art. 604 bis c.p., nella quale salta anche la parola “ovvero”. Se poi si aggiungono le modifiche apportate al titolo del d.l. n. 122 del 1993 ed alla rubrica del suo art. 1, dove le diverse fattispecie sono unificate in un’unica formula, che non reca alcuna possibilità di percepire che le disposizioni legislative prevedono ipotesi di reato fra loro distinte, la confusione si fa ancora più chiara. Se l’on. Zan volesse essere conseguente con quanto dichiara alla stampa cattolica, dovrebbe separare nettamente la diffusione delle idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, dalle altre fattispecie penalmente rilevanti o, quanto meno, nella nuova rubrica dell’art. 604 bis c.p. porre tra la parola “etnico” e l’altra “istigazione” un punto e non una semplice virgola.

Ma, come si è visto, il problema è ben più complesso ed investe il fatto che il testo Zan lascia largo spazio alla discrezionalità interpretativa del giudice; con il che viene eluso lo stesso principio di legalità delle pene di cui all’art. 25 della Costituzione.

La proposta dell’on. Zan non si preoccupa, poi, di dare indicazioni su cosa possa esser considerato un “atto di discriminazione” ai sensi della seconda parte della suddetta lettera a) dell’art. 604 bis c.p. Infatti il d.lgs. 9 luglio 2003, n. 215, agli artt. 2 e 3 offre alcune indicazioni su cosa debba intendersi per discriminazione e per atto discriminatorio, ma si tratta di disposizioni che si applicano espressamente alle sole discriminazioni per motivi etnici o razziali, sicché, per quanto riguarda gli altri motivi, anche attività del tutto innocenti potrebbero incardinare, alla luce delle modifiche proposte dall’on. Zan, atti di discriminazione fondati sul genere o sull’orientamento sessuale: la predisposizione di locali riservati ai soli uomini o alle sole donne (spogliatoi, bagni etc.), le gare sportive per uomini distinte da quelle per le donne, la diversità delle prove e dei requisiti per l’accesso di uomini e donne a determinate carriere (servizio militare volontario, Forze di polizia, etc.), e così via dicendo. Persino la libertà contrattuale potrebbe risultarne lesa. Con la conseguenza che,

anche da questo punto di vista, la discrezionalità del giudice penale si dilata a dismisura: il che è proprio ciò che una buona legislazione in materia penale non deve fare.

Il terzo aspetto, in cui l’ambiguità delle modifiche proposte potrebbe portare a conseguenze abbastanza gravi, sembra nascere da quello che dovrebbe essere il nuovo art. 604 ter c.p., che prevede un’aggravante speciale consistente nel fatto che il reato sia stato commesso per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso e – si dovrebbe aggiungere – “oppure fondati [ma a che si riferisce il “fondati”? le finalità?, nel qual caso dovrebbe dirsi “fondate”; oppure la discriminazione e l’odio?, ma allora, per assonanza con i precedenti aggettivi, dovrebbe dirsi “fondato”] sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere”. Ma dall’applicazione di tale aggravante dovrebbero essere esplicitamente esclusi i reati di cui al precedente art. 604 bis: il che però, non è detto.

Quanto, infine, al secondo comma dell’art. 604 bis mi domando se sia ancora possibile fondare, ad es., un club per sole signore o per soli uomini sposati, o se potrà legittimamente darsi attuazione al Documento della Congregazione per l’Educazione cattolica del 2 febbraio 2019, o se potranno esserci ancora associazioni riservate a sole donne o a soli uomini.

Tralasciando tutto il resto – il che non è poco! – direi che una legislazione in materia penale mal formulata e, per così dire, improvvisata, perché non rispondente ai canoni di una buona tecnica legislativa, appare, da un punto di vista assolutamente laico, del tutto inopportuna.

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