Dissetarsi davvero o per finta

Iniziamo a contestare ciò di cui ci accontentiamo lamentandocene, senza paura di buttare via, rinunciare, tagliare, scrollarci di dosso, rimanere a stomaco vuoto… in questo vuoto si apriranno infinite potenzialità di una vita nuova e migliore, che finora abbiamo sempre sognato senza avere il coraggio di perseguirle

(Foto Siciliani - Gennari/SIR)

Continua il nostro itinerario quaresimale con la riflessione sul diverso modo di agire dei pensieri che provengono dalla tentazione rispetto a quelli che provengono da Dio, e oggi ci viene offerto un quadro paradigmatico di ciò attraverso le letture della III Domenica di Quaresima, che danno l’avvio a un tempo più intenso di formazione per i catecumeni, e di ripensamento della propria fede per chi il Battesimo l’ha già ricevuto ma forse se ne è scordato e deve rispolverarlo.

La prima lettura, tratta dall’Esodo, ci dice che il popolo d’Israele ha sete (cfr. Es 17, 3-7), così come Gesù, nel deserto, proverà fame (cfr. Mt 4, 2). Fame e sete snudano la miseria dell’uomo, e lo costringono a fronteggiare il motore di ogni tentazione, ovvero la paura della morte; dalla paura viene la rabbia, che diventa rivendicazione: “Tu ci avevi promesso la vita, e ora ci fai morire di sete!” La rabbia infantile del bambino che dice “cattivo!” al genitore che non gli dà quello che vuole come lo vuole quando lo vuole. “Cattivo”, perché sembra che voglia farmi morire, perché la tentazione mi suggerisce anzitutto che morirò, e poi mi dice anche come dovrei fare se non voglio morire: due bugie, una dopo l’altra, per impedirmi di fidarmi del Padre, e di riconoscere i suoi doni nella forma in cui Lui decide di darmeli. Da qui, la perenne insoddisfazione, l’agitata ricerca di una soluzione (sempre nei parametri distorti suggeriti dalla tentazione): ecco la Samaritana, che nella sua sete d’amore (altro che l’acqua) ha collezionato una storia sentimentale fallimentare dietro l’altra, probabilmente dicendosi sempre, sedotta dalla tentazione, “Stavolta sarà quello giusto!”, e quello giusto non è mai, perché ciò che lo renderebbe giusto è semplicemente impossibile per un uomo, ovvero salvarti dalla paura della morte, assicurarti la vita piena e senza tramonto…

Quando smettiamo di raccontarcela e di accontentarci (due parole che hanno inquietanti assonanze), accettando di confrontarci con i nostri vuoti veri, possiamo cercare risposte migliori, che ci dissetino davvero. Nessun alcolizzato brama l’alcol, ma finché non ammette gridando e piangendo che è l’amore di cui ha sete, continuerà a bere; nessun dipendente dalla pornografia si masturba ossessivamente perché gli piace, ma finché non consegna ad alta voce a Dio le sue insicurezze e il suo bisogno di essere amato, continuerà a dissiparsi davanti a uno schermo; nessuna persona acida e oppositiva lo è per divertimento, ma finché non ammetterà il suo bisogno di essere riconosciuta e accolta continuerà a lamentarsi e a maltrattare. E così via.
Quando la Samaritana ammette che non ha marito, e permette a Dio di mostrarle dove sta veramente (cfr. Gv 4, 17-18), allora può anche accogliere lo sguardo di quest’uomo così particolare, l’ultimo, quello davvero giusto, e, accantonando in un lampo senza neppure pensarci le sue fissazioni di sempre rappresentate dall’anfora, si tuffa nella sua nuova vita, che la renderà coprotagonista per sempre della più bella storia mai raccontata e tramandata.

È arrivato per lei finalmente l’uomo giusto, il settimo, che le dimostra che da sempre è stata vista e amata, conosciuta, voluta, ma non con le voglie e le mani sporche degli altri uomini, a cui si era sottomessa perché pensava di non poter avere di meglio: no, questo settimo uomo, il Messia di cui ha sentito parlare e che ora conversa con lei (proprio con lei, che evitava la gente al pozzo per non vedersi rinfacciata la sua dolorosa condizione di sgualdrina!), vuole anzitutto ridarle la sua dignità, e da zimbello del villaggio la fa apostolo e ambasciatrice del Vangelo.

Iniziamo a contestare ciò di cui ci accontentiamo lamentandocene, senza paura di buttare via, rinunciare, tagliare, scrollarci di dosso, rimanere a stomaco vuoto… in questo vuoto si apriranno infinite potenzialità di una vita nuova e migliore, che finora abbiamo sempre sognato senza avere il coraggio di perseguirle.

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