Giubileo dei detenuti. Caldart: “Ogni persona ha diritto alla speranza e al rispetto”

Sono molteplici le attività della Federazione nazionale italiana Società San Vincenzo de’ Paoli a favore di chi vive ristretto, ma anche per formare volontari e sensibilizzare i giovani alla cultura della legalità

(Foto Società San Vincenzo De Paoli)

“Specchio insopportabile e maledetto. Volgevo lo sguardo altrove pur di non vedere quella faccia riflessa che ogni mattina mostravi, ma tu, impietoso, mi affliggevi, esibendo il volto di un detenuto”. Sono le parole dell’“Amico riflesso”, uno dei tre testi vincitori della diciottesima e ultima edizione del Premio Carlo Castelli, il principale concorso letterario per le persone ristrette nelle carceri del territorio nazionale, promosso dalla Federazione nazionale italiana Società San Vincenzo de’ Paoli. L’edizione di quest’anno del premio ha avuto come tema, infatti, “Mi specchio e (non) mi riconosco: non sono e non sarò il mio reato”. “Un attimo e mi sono ritrovato nel buco più buio del mondo a scontare un errore grosso. … Mi sentivo perso, senza speranza. Il mio unico compagno era il tormento”. È un percorso di trasformazione quello raccontato da “Liberato”, della categoria minori, che ha guadagnato il primo premio con il testo “Lib(e)ro dentro” Ma il percorso di emancipazione comincia a farsi strada, grazie al dialogo con gli operatori penitenziari e con i volontari. “Ho commesso un crimine che mi vergogno di aver commesso, ma che so di aver fatto, e che mi ha legato a una versione di me stesso che oggi, guardandomi allo specchio, non riconosco. Quando l’ho fatto, la testa era piena di disperazione, gelosia e rabbia”, scrive Liberato, concludendo: “Voglio essere semplicemente ‘Liberato’, un ragazzo che ha sbagliato, ma che non si arrende alla sua storia e vuole scriverne un’altra. Una storia di riscatto, cambiamento, speranza e perdono. Ogni giorno, guardandomi allo specchio, vedo una persona diversa, anche se il dolore non può mai completamente svanire”. Il Premio Castelli è una delle tante attività messe in campo dalla San Vincenzo De Paoli a favore dei detenuti e della legalità. Ne parliamo con Antonella Caldart, responsabile del Settore Carcere e Devianza della Federazione nazionale italiana Società di San Vincenzo De Paoli Odv, in occasione del Giubileo dei detenuti.

(Foto Società San Vincenzo De Paoli)

Come state vivendo, come San Vincenzo De Paoli, questo tempo del Giubileo?

Come Settore Carcere e Devianza, abbiamo impostato il lavoro degli ultimi due anni, quello del pre-Giubileo e del Giubileo, promuovendo un progetto chiamato “Informazione”, che punta su azione, formazione, informazione. Partiamo dall’azione. Noi agiamo innanzitutto con le attività in carcere, dove con le nostre Conferenze in tutta l’Italia siamo presenti, attraverso colloqui e attività culturali, formative, lavoro. Inoltre, lavoriamo con le famiglie dei ristretti, molto spesso sono famiglie che vengono da posti lontani, non sanno dove dormire, non sanno come raggiungere il carcere, quindi abbiamo anche, ad esempio in Sicilia, l’accompagnamento al carcere che è fuori città, in Friuli ci sono gli appartamenti per dare ospitalità ai familiari dei detenuti. Per quanto riguarda la formazione, ne facciamo di due tipi: un percorso di formazione dedicato a chi desidera avvicinarsi al volontariato in carcere, non solo vincenziani, che finirà a gennaio, in presenza nelle Marche e con collegamenti a distanza da tutta Italia, abbiamo circa 115 iscritti. Tra i temi affrontati, i minori, le donne, le pene alternative. Gli interventi durante gli incontri sono visibili sul canale YouTube della San Vincenzo. L’altra formazione la facciamo invece nelle scuole superiori, con il progetto “ScegliAmo Bene”. L’iniziativa nasce per promuovere la cultura della responsabilità individuale e collettiva, intesa non solo come rispetto delle leggi ma, per noi che siamo di matrice cristiana, come scelta morale consapevole, capace di costruire una comunità più giusta, solidale e inclusiva. Attraverso laboratori, incontri con esperti e attività pratiche, i giovani vengono coinvolti in esperienze concrete di cittadinanza attiva, imparando a riconoscere il valore delle proprie scelte e l’importanza del ruolo di ciascuno nella società. Poi c’è la terza gamba che è l’informazione.

Cosa fate a riguardo?

Promuoviamo la mostra “I volti della povertà in carcere”, le foto sono di Matteo Pernaselci e sono state raccolte in un volume edito dalla Edb, con la prefazione del card. Matteo Zuppi e i testi di una nostra vincenziana di Roma, Rossana Ruggiero. Le 40 foto raccontano le storie di persone rinchiuse, si tratta di un modo per entrare in carcere, aprendo uno squarcio sulla vita dei ristretti, dei cappellani, degli agenti di Polizia penitenziari. È uno spaccato sulla vita del carcere che ci serve per informare la popolazione che nelle città ci sono anche le carceri, elemento che si tende un po’ a voler dimenticare. Laddove c’è la mostra e dove ci sono i laboratori per i ragazzi, organizziamo serate con il pubblico. Recentemente abbiamo avuto don Marco Pozza, cappellano del carcere Due Palazzi di Padova. L’evento è stato mandato in streaming ed è stato molto seguito e ancora sono tanti gli accessi per poter rivedere l’incontro on line. La nostra prospettiva in futuro è quella di cominciare a lavorare, in rete, alla diffusione di una nuova cultura della giustizia. Il carcere e le persone che ci vivono fanno parte della nostra realtà e se noi riusciamo come società civile a capire che è solo affiancando queste persone, riconoscendo in loro la persona al di là del proprio reato, aiutandole anche a formarsi, ad avere un domani, quando escono la loro pena veramente finisce e possono avere una seconda opportunità o una terza di essere reinseriti nella nostra società. Motivo per cui in prospettiva lavoreremo molto sulle forme alternative alla detenzione, infatti abbiamo firmato da poco un protocollo con il Ministero della Giustizia con il quale accogliamo nelle nostre Conferenze persone messe alla prova.

Ritornando alle attività in carcere con i detenuti, cosa fate in particolare?

Innanzitutto, il colloquio, perché, nel carisma vincenziano, riconosci la persona,

Ozanam ci ha insegnato che ogni persona ha una propria dignità e ha diritto ad avere speranza, quindi il colloquio è senza dubbio uno dei punti di forza.

Dopodiché organizziamo laboratori culturali, per esempio a Venezia inauguriamo una mostra di pannelli realizzati dalle nostre volontarie insieme ai detenuti, sono dei murales, che esponiamo fuori dal carcere, proprio per coinvolgere la città, ma sono stati realizzati in carcere e raccontano ciò che succede in carcere. Nel carcere femminile sempre Venezia, abbiamo l’orto per la coltivazione di ortaggi che le detenute il giovedì mattina vendono su una barca antistante al carcere. Poi ci sono laboratori lavorativi, ad esempio di falegnameria, di panificazione, di pasticceria, dipende molto anche dal territorio circostante, cioè da quale è la richiesta di lavoratori di quella zona e quindi attrezziamo un laboratorio che può dare opportunità lavorative ai detenuti una volta usciti dal carcere. Inoltre organizziamo corsi sulla sicurezza in modo che siano formati su questo aspetto importante per il mondo del lavoro.

Un aspetto del vostro carisma è l’aiuto ai poveri…

Portiamo abiti, cibo laddove serve, eventualmente aiutiamo le famiglie anche economicamente, anche semplicemente con le bollette. Cerchiamo di farci carico in generale della famiglia, laddove ci siano minori ci occupiamo dei bambini, cerchiamo anche di trovare sistemazione per una casa o un lavoro agli altri membri della famiglia in modo da potersi mantenere. Quindi non diamo semplicemente un aiuto economico fine a se stesso, ma sempre cerchiamo di fare in modo che l’aiuto economico risponda alle necessità del momento, ma in prospettiva aiuti anche a un riscatto, a diventare autonoma per quanto possibile tutta la famiglia.

(Foto Società San Vincenzo De Paoli)

Un’attenzione ai detenuti c’è anche attraverso il Premio letterario Castelli…

Dall’edizione appena conclusa, che è stata la diciottesima e si è tenuta nel carcere di Brescia, abbiamo introdotto anche una sezione per i minori. Prima concorrevano tutti insieme, quest’anno invece abbiamo avuto una sezione per i minori nella quale ha vinto un ragazzo dell’Ipm di Catania con due segnalati, mentre per la sezione degli over 18, dove ci sono due premi e altri otto segnalati. Le opere vengono poi raccolte in una pubblicazione, in circa 13mila copie, che diffondiamo attraverso i nostri canali. I tre vincitori hanno ciascuno mille euro, al premio all’autore è abbinata una seconda donazione, altre 3mila euro complessivi, destinata a progetti volti al reinserimento sociale di detenuti di altri istituti penitenziari, o di persone in misura alternativa alla detenzione. Così chi vince si sente promotore di un aiuto ad un altro carcere che non sia il suo ed è un modo per superare il marchio di colpevole e sperare di avere un futuro che sia diverso da quello della reclusione. Il premio Castelli sarà ospitato l’anno prossimo dalla regione Toscana.

(Foto Società San Vincenzo De Paoli)

Il Giubileo che sta per concludersi è stato dedicato alla speranza, ma come si può portare la speranza in carcere?

Mi viene in mente, ciò che il card. Zuppi scrive nella prefazione de “I volti della povertà in carcere”, dove descrive uno dei momenti in cui è entrato in una cella, sovraffollata, con persone veramente disperate. Però incredibilmente c’era un muro rotto, c’era una crepa e da questa crepa, racconta, entrava un raggio di sole. Ecco, un raggio di sole è possibile per ciascuna persona. Quello che colpisce nel carcere è la solitudine, la sensazione che il tempo non passi mai, eppure ci sono segnali, delle occasioni che non capitano per caso e che se le sappiamo guardare veramente ci danno quel senso della luce che passa dalla crepa, perché quando sei nei momenti più bui esiste la mano del Signore che ci fa arrivare quel segno, quel raggio di luce che ci può aiutare.

Nessuno deve disperare e basta, questo è certo. E speriamo che qualcuno veda nella nostra azione quel raggio di luce che può ridare speranza. Ozanam ci ha insegnato che la speranza è un diritto di tutti, così come il rispetto della persona.

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