“Il mio viaggio è stato lungo e doloroso. Ho lasciato tutto — la mia casa, i miei sogni, le persone che amavo. Ho viaggiato per giorni — su un piccolo carro trainato da animali, attraversando un fiume in barca, camminando per ore sotto il sole cocente. Finalmente, ho raggiunto il confine con l’Etiopia: esausto, affamato, ma vivo”. Così Omar Malla, medico giunto in Italia, dal Sudan, oggi lacerato da una guerra dimenticata, ha raccontato la fuga dalla sua patria in preda alla guerra. “In Etiopia sono diventato un rifugiato, un medico senza ospedale, un uomo senza patria”, ha detto durante l’Incontro internazionale per la pace organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio al Colosseo: “Ho lavorato in una piccola clinica nel campo profughi, curando persone che avevano sofferto come me. Ma dentro di me portavo ancora il peso della perdita, finché un giorno ho incontrato la Comunità di Sant’Egidio”. “Da quel momento, la mia vita ha cominciato a cambiare”, ha testimoniato il medico sudanese: “Non mi hanno chiesto chi fossi o da dove venissi. Hanno semplicemente aperto le braccia. Mi hanno dato non solo la sensazione che la situazione potesse cambiare, ma qualcosa di molto più grande: mi hanno restituito la speranza. Grazie a Sant’Egidio e alla generosità del popolo italiano, più di quaranta di noi — sudanesi e altri — sono arrivati sani e salvi qui, a Roma attraverso i corridoi umanitari. Per la prima volta dopo molti anni, dormo senza paura. Per la prima volta, posso di nuovo sognare”. “Ci avete dato molto più della sicurezza: ci avete restituito la dignità”, la gratitudine di Omer: “Ma mentre parlo qui oggi, il mio cuore è ancora in Sudan. A El-Fashir, le persone vivono sotto assedio da più di due anni, senza cibo, medicine, speranza. Le madri danno ai propri figli cibo per animali pur di tenerli in vita. Chi non muore per i proiettili, muore lentamente di fame. Vi prego — vi chiedo — pregate per il Sudan. Pregate per El-Fashir. Pregate perché la pace torni nel mio Paese, e in ogni nazione lacerata dalla guerra”.