“La lenta e difficile situazione di inserimento socio-lavorativo delle persone rifugiate in Italia, anche quando sono nel nostro Paese da diversi anni, testimonia la durezza del loro percorso anche una volta che sono in salvo. Dall’altro lato, appare un’occasione persa proprio per il Paese che li ha accolti e riconosciuti come meritevoli di protezione, perché vuol dire che non siamo in grado di permettere loro di usare e valorizzare i talenti che hanno – ricordiamoci che il 19% per cento di loro ha un titolo universitario – e che potrebbero essere una risorsa preziosa per tutti”. Lo afferma Mariacristina Molfetta, sociologa della Fondazione Migrantes, in un articolo pubblicato nell’ultimo numero di Migranti Press. Molfetta analizza la ricerca voluta e finanziata dall’agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr) “L’integrazione tra sfide e opportunità. Uno studio sulle condizioni socio-economiche dei rifugiati in Italia”, il “primo in assoluto così esteso realizzato in Italia, e uno dei primi in Europa, sulle condizioni socio-economiche successive all’accoglienza delle persone che hanno avuto sia una protezione internazionale che una protezione temporanea”.
In totale si parla di una popolazione di circa 250.000 persone. Sono state intervistate a campione 1.231 persone in 16 diverse città, grandi e piccole, in tutta Italia. Uno dei principali ostacoli è la scarsa conoscenza della lingua italiana: il 53% ha un livello medio-basso. “Le normative che hanno limitato i corsi di lingua nei centri di accoglienza – come il decreto Cutro (dl 20/2023) – non hanno certo favorito l’integrazione successiva”, osserva la sociologa. Ma i dati più allarmanti riguardano la condizione economica: il 43,5% degli intervistati vive in povertà assoluta e il 67% in povertà relativa (contro il 17% degli italiani e il 39% degli altri stranieri residenti). Il 26% vive in una situazione di esclusione sociale e deprivazione materiale. Il reddito medio mensile è di poco superiore ai 1.100 euro, a fronte dei 1.680 euro degli italiani e dei 1.330 euro degli altri migranti. L’84% dei rifugiati lavora, ma quasi sempre in impieghi a bassa qualifica. Limitata anche la rete sociale di riferimento: il 49% può contare su una o due persone e il 73% non ha mai ricevuto o richiesto alcun tipo di sussidio locale o statale. Grave anche il problema abitativo: il 16% vive in condizioni molto precarie, mentre un altro 26% ha affrontato gravi difficoltà abitative nell’ultimo anno. A soffrire di più sono gli uomini, i giovani sotto i 45 anni e le persone provenienti da Paesi africani. Infine, il 45% degli intervistati dichiara di aver subito discriminazioni per origine straniera o colore della pelle. Tuttavia, l’83% non ha mai denunciato gli episodi per sfiducia o timore di ritorsioni.