Miriam e la sua famiglia, testimoni del dramma di un Paese precipitato in guerra

L'intervista a una famiglia italo israeliana che si trova in un rifugio. A raccontare tramite WhatsApp i tragici avvenimenti che da sabato 7 ottobre stanno insanguinando Israele è Miriam, la terzogenita di Diana e Alfredo Sarano, segretario della Comunità ebraica di Milano negli anni della Seconda guerra mondiale e artefice della salvezza di migliaia di ebrei. Miriam, che oggi abita a Ramet Gan, è nata nel 1945 come segno di ringraziamento a Dio per essere sopravvissuti alla Shoah

Kibbutz di Be'eri, attaccato da Hamas (Foto ANSA/SIR)

A raccontare tramite WhatsApp i tragici avvenimenti che da sabato 7 ottobre stanno insanguinando Israele è Miriam, la terzogenita di Diana e Alfredo Sarano, segretario della Comunità ebraica di Milano negli anni della Seconda guerra mondiale e artefice della salvezza di migliaia di ebrei. Miriam, che oggi abita a Ramet Gan, è nata nel 1945 come segno di ringraziamento a Dio per essere sopravvissuti alla Shoah. Oggi la sua famiglia, che risiede in Israele dagli anni ’60, e che è formata da circa un centinaio di componenti, vive sparsa nel piccolo stato mediorientale. Con loro c’è anche Matilde, nata nel 1939 e gravemente malata.

“Quando sabato alle 6.30 del mattino la sirena ha suonato, io e mio marito Raymond siamo corsi nel rifugio che abbiamo dentro casa, uno dei pochi, perché non tutti ce l’hanno in Israele. Poi abbiamo subito chiamato mio figlio Avi perché ci raggiungesse e stesse con noi, infine il pensiero è andato ai cugini che abitano in un kibbutz a Nir Am, al confine con la striscia di Gaza e per tutto il sabato li abbiamo cercati senza successo. Quindi abbiamo provato a contattare i figli di mia sorella Vittoria, i nipoti e tutti i parenti. Ci siamo attaccati al televisore dove a mano a mano siamo venuti a sapere dei fatti orrendi: famiglie intere ammazzate con i loro bambini e gli anziani. Abbiamo saputo dei 3.000 ragazzi, parte dei quali massacrati al rave party di Sukkot. Altri presi in ostaggio così come anziani infermi, sulle carrozzelle e con le badanti filippine. Degli sfollati, una marea, trasferiti dalle città del sud in quelle del nord.

In tutto questo, consola vedere che non ci sono più divisioni partitiche ma ciascuno cerca di darsi una mano. Ci si aiuta a vicenda facendo del volontariato; eravamo un paese forte e ben organizzato, ma ci siamo lasciati sorprendere.

I nipoti di Matilde sono stati richiamati al fronte a combattere, i figli di Vittoria si danno da fare per preparare il cibo per la popolazione. Proprio ora mentre parlo c’è un attacco missilistico che cade sopra di noi, e c’è da sperare che i nostri missili possano bloccare quelli nemici che colpiscono le persone senza colpa alcuna.

È una sensazione terribile pensare alla mia famiglia sopravvissuta ai bombardamenti su Milano e poi nascosta per sfuggire agli aguzzini di allora. Oggi dopo oltre 80 anni si ripete la storia e sembra di essere tornati alla Shoah. Su tutte simbolicamente la vicenda dei due gemellini di 10 mesi scampati alla tragedia grazie ai loro genitori eroi che prima di essere uccisi li hanno nascosti in un armadio. Sono stati lì 12 ore prima che l’esercito israeliano li salvasse”.

Colpisce come nelle parole di Miriam non ci sia rancore nei confronti dei terroristi di Hamas. Non una parola di vendetta, di cattiveria, di odio, ma solo il dolore per le atrocità commesse e la richiesta di pace. Ci salutiamo con la promessa della preghiera reciproca nell’unico Dio “che tante volte è intervenuto in nostro aiuto e che non mancherà ancora di farlo neppure in queste ore drammatiche”.

(*) direttore “Il nuovo amico”

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