Giubileo dei giovani: Lucchin, “la mia vita con Sammy è stata un’esperienza meravigliosa”

“La mia vita con Sammy è stata un’esperienza meravigliosa e unica come tutte le vite che ogni mamma vive con il proprio figlio”. Lo ha detto Laura Lucchin, mamma di Sammy Basso, morto a 28 anni a causa della progeria, nella sua testimonianza durante l’incontro dei giovani italiani “Tu sei Pietro” in piazza San Pietro, organizzato dalla Cei nell’ambito del Giubileo dei giovani. “Non penso di aver avuto un privilegio particolare, ho avuto solo questa esperienza e non sono in grado di dire che la mia è stata più importante di altre, ma Sammy è sempre stato speciale e non per la sua patologia ma per come ha vissuto questo tratto di vita con me, il papà e tutte le persone che gli sono state vicine e che, insieme, hanno condiviso ogni aspetto della sua vita”, ha raccontato ai giovani italiani radunati nella basilica di San Pietro. “Fin da piccolo ha sempre dimostrato una gran voglia di vivere e di sorridere alla vita nonostante una malattia così invalidante, non si è mai arreso davanti alle tante difficoltà che intralciavano il suo cammino”, ha assicurato: “La prima grande lezione, che senza accorgersene mi ha insegnato, è stata l’accettazione di quello che non si può cambiare, di accoglierlo senza mai recriminare sul ‘perché proprio a me’, anzi, quando gli dicevo di chiedere al Signore la guarigione lui mi sorrideva e mi diceva: ‘no mamma, se io sono nato così un motivo c’è, probabilmente il Signore ha un progetto su di me!”. “Ha sempre amato parlare con tutti, dai bimbi piccoli, ai ragazzi, agli adulti e agli anziani, perché da ognuno imparava qualcosa e sapeva mettersi alla pari”, il ritratto di Sammy nelle parole di sua madre: “Dopo i primi momenti di imbarazzo nel trovarsi davanti una persona fisicamente particolare tutti si sentivano a loro agio e, dopo le prime parole, la malattia spariva. Casa nostra è sempre stata piena di amici, le nostre porte sono sempre state aperte a tutti”. “Ha messo anima e corpo per diventare un biologo molecolare e ricercare una cura per la sua malattia, ha dato tutto se stesso conscio che per lui non c’era tempo”, ha concluso Lucchin: “Ormai la malattia su di lui aveva lavorato troppo, ma era felice di poter trovare una cura per chi veniva dopo di lui, tutto era sempre rivolto agli altri mai a se stesso ‘perché è giusto così’, continuava a ripetere”.

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