
“È uno dei più gravi disastri aerei nella storia recente dell’India”. Padre Cedric Prakash, gesuita con base ad Ahmedabad, ne parla con lucidità e dolore: “Un aereo dell’Air India, appena decollato dalla città, ha raggiunto a malapena gli 800 piedi di quota. Si trattava di un dreamliner, ritenuto tra i più sicuri. Invece si è schiantato, è esploso in una palla di fuoco e si è abbattuto sul campus della facoltà di medicina”. Il volo AI‑171 era diretto a Londra Gatwick. A bordo c’erano 242 persone, compresi i piloti, l’equipaggio e i passeggeri. I morti sono 245. Un solo sopravvissuto. A cui si aggiungono le vittime a terra.
Nel giorno della tragedia, Papa Leone XIV ha espresso “profondo cordoglio” per le vittime, unendosi “nella preghiera” ai familiari. Anche i vescovi indiani hanno rivolto un messaggio di vicinanza e solidarietà. “La mensa colpita – precisa – si trovava nel dormitorio degli studenti del BJ Medical College. Cinque giovani medici risultano deceduti, ma il numero potrebbe essere molto più alto. È davvero triste”. Il centro dei gesuiti si trova non lontano dall’aeroporto: “Non ci siamo resi conto subito dell’incidente, finché la gente non ha iniziato a telefonarci. Alcuni amici si sono precipitati sul posto. C’erano persone di ogni religione, di ogni denominazione. Ma non è stato permesso loro di avvicinarsi: per ragioni di sicurezza, l’area era già sotto il controllo dell’aviazione civile, della polizia e dell’esercito”.
Chi è padre Cedric Prakash
Gesuita indiano con base ad Ahmedabad, nello Stato del Gujarat. Da anni si occupa di diritti umani, giustizia sociale, riconciliazione e pace, con particolare attenzione alle minoranze religiose. Figura autorevole della società civile e voce critica nei confronti delle ingiustizie, promuove il dialogo interreligioso e l’advocacy per una cittadinanza più consapevole e partecipe. È spesso in prima linea nelle emergenze sociali del Paese. Autore di articoli, appelli e interventi pubblici, chiede con forza verità e responsabilità da parte delle istituzioni, incoraggiando la Chiesa ad essere “luce di speranza” per chi è nel dolore.
Volti e responsabilità
Padre Prakash restituisce anche volti e storie: “Tra le vittime, un ex primo ministro del Gujarat, il signor Rupani, diretto a Londra dalla figlia. Una giovane sposa che stava per incontrare il marito per la prima volta dopo il matrimonio. Una famiglia cristiana. E poi diversi altri. C’erano soprattutto indiani, ma anche britannici, portoghesi, persone di vari Paesi”. Particolarmente toccante la vicenda del primo ufficiale di volo. Il co-pilota si chiamava Clive Kunder. Era un giovane serio e preparato, parrocchiano della comunità di Olep, ex studente del Wilson College di Mumbai: “La sua dedizione all’aviazione era ben nota. La notizia della sua morte ha profondamente colpito la famiglia, i colleghi e tutti coloro che lo conoscevano. È una perdita dolorosa”. Le cause non sono ancora ufficiali: “Pare si sia trattato di un guasto tecnico. L’aereo non ha raggiunto l’ascendenza necessaria. Non sappiamo con precisione cosa sia accaduto: il rapporto completo non è stato pubblicato”.
La voce si fa ferma: “Chiedo al governo e al dipartimento dell’aviazione civile di pubblicare un libro bianco. Se si è trattato solo di guasti tecnici, la Boeing o chiunque sia responsabile dovrà affrontare le conseguenze. Si parla molto sui media di difetti noti nei dreamliner. Bisogna fare luce”.
- (Foto ANSA/SIR)
- (Foto ANSA/SIR)
Preghiera e consapevolezza
Nelle ore successive all’incidente, padre Prakash ha pubblicato messaggi di cordoglio sui social: “Domani sera avremo una veglia con le candele. Stiamo chiedendo preghiere. Domani mattina celebrerò una messa di suffragio con le Missionarie della Carità, per tutte le vittime, sia quelle a bordo che a terra”. Ma non basta. “Penso sia importante offrire messaggi di vicinanza, ma anche agire. Abbiamo bisogno di educazione, consapevolezza. Anche chi viaggia deve conoscere i propri diritti. In India, chi prende l’aereo è spesso della classe media o benestante, ma anche loro devono essere informati”. Un passaggio è dedicato alla reazione concreta:
“Il gruppo Tata, che ha riacquistato Air India dopo la nazionalizzazione, ha promesso 10 milioni di rupie per ogni vittima. È una cifra altissima. Ma non sappiamo ancora se basterà”.
E aggiunge: “Oggi una dirigente cattolica, capo delle infermiere dell’ospedale civile, è stata chiamata d’urgenza. Non ha potuto partecipare a un nostro incontro. Forse per aiutare a gestire i corpi, carbonizzati e irriconoscibili. È terribile, davvero terribile”.
Una Chiesa che accompagna
Sull’India, padre Prakash non tace: “Ci sono tante sfide. Lavoro con minoranze cristiane, musulmane, e persone sotto pressione da forze estremiste. Serve consapevolezza, formazione. La Chiesa può offrire tanto in termini di advocacy”. Poi una riflessione più ampia: “Anche solo pensare di fare qualcosa è difficile. Non è come un disastro ferroviario con vittime locali. Qui c’erano persone dirette a Londra, in altre parti del mondo. Quello che si può fare è limitato”.
“Viviamo nell’Anno giubilare – conclude – e siamo chiamati a essere pellegrini di speranza. In tragedie come questa dobbiamo essere segni di luce. Tutti noi dobbiamo essere fiammelle, luci di speranza”.
La sua città è avvolta nel silenzio: “C’è una tristezza che pesa sull’intera Ahmedabad. Un senso di immobilità. Questa tragedia tocca tutti. Giovani medici che stavano pranzando, passeggeri pronti per raggiungere i loro cari. Dobbiamo offrire consolazione. Che il Signore li accolga nella sua pace. E che noi, come Chiesa, camminiamo accanto a chi piange”.