I giornalisti dei settimanali cattolici pellegrini in Terra Santa tra le pietre vive

Alla luce degli ultimi eventi che stanno infiammando Israele e Palestina, facendo innalzare dopo i fatti del 7 ottobre scorso il rischio di propagazione del conflitto in tutta l'area mediorientale ed anche oltre, hanno quasi il senso di premonizione le parole del patriarca latino di Gerusalemme, card. Pierbattista Pizzaballa che parlava di questo territorio come "una faglia umana dove le tensioni molto spesso vengono fuori". Rileggiamo in questo nuovo senso il viaggio in Terra Santa dei giornalisti dei settimanali cattolici italiani vincitori delle edizioni 2019 e 2020 del concorso giornalistico “Selezione nazionale ‘8xmille senza frontiere’”, organizzato dal Servizio per gli interventi caritativi per lo sviluppo dei popoli della Cei e dalla Fisc-Federazione italiana settimanali cattolici. La terra promessa per gli ebrei, la terra dove nacque, visse, morì e resuscitò Gesù Cristo per i cristiani, il luogo dove Maometto iniziò l’ascensione per i musulmani, ma anche il luogo dove operano le pietre vive testimoni di una Chiesa che non si stanca di porgere la mano ai bisognosi

foto SIR/Marco Calvarese

Quando si parla di Terra Santa si parla di una terra in cui tutti trovano radici e cittadinanza. Non si parla semplicemente di un territorio compreso tra il mar Mediterraneo ed il fiume Giordano. Si parla della terra promessa da Jahvè al popolo ebraico; si parla del luogo da cui Maometto ascese al cielo per ricevere istruzioni divine da Allah; si parla della terra dove nacque, morì e resuscitò Gesù Cristo, il Dio dei cristiani. Un luogo insomma, dove storia e religioni hanno costruito, distrutto e ricostruito ogni singola pietra di quei luoghi e dove gli uomini che la abitano non sempre sono stati capaci di abitarla con spirito di convivenza e di pace. Camminare per quelle strade, offre la possibilità di riflettere sul passato, sul presente di ognuno, sulla storia e sulla fede che non è un elemento secondario a determinate coordinate. Per rendersene conto basterebbe guardare con quanto trasporto le persone che entrano nel Santo Sepolcro a Gerusalemme, pregano accarezzando la pietra sulla quale è stato deposto il corpo di Gesù morto in croce, ma un esempio di devozione sono certamente anche il Muro Occidentale per gli ebrei e la Cupola della Roccia per i musulmani. La Terra Santa è anche tanto altro, ed una parte l’hanno sperimentata i giornalisti dei settimanali cattolici italiani in viaggio in quei luoghi perché vincitori delle edizioni 2019 e 2020 del concorso giornalistico “Selezione nazionale ‘8xmille senza frontiere’”, organizzato dal Servizio per gli interventi caritativi per lo sviluppo dei popoli della Cei e dalla Fisc-Federazione italiana settimanali cattolici.

“Ognuno ha portato se stesso pellegrino qui in queste terre, in questi luoghi, però portando se stesso ha portato anche le proprie redazioni e le proprie Chiese. Ma è stato un pellegrinaggio sinodale, nel senso che ci siamo messi in ascolto di quello che le Chiese della Terra Santa, hanno da dire. Quindi l’attenzione, col cuore aperto, alle esperienze che vivono nella quotidianità ed a cui noi troppo spesso non diamo abbastanza attenzione”. Queste le parole di Mauro Ungaro, presidente della Fisc, che ha accompagnato i giornalisti in questa esperienza che li ha portati a visitare i progetti sostenuti in Terra Santa con i fondi dell’8xmille alla Chiesa cattolica italiana, oltre che una terra che “ha visto la Parola diventare carne, quella Parola che noi come giornalisti cattolici, siamo tenuti a masticare ogni giorno per non dimenticare che il fine della nostra professione, del nostro impegno, della nostra diaconia informativa è essere prima di tutto testimoni della verità”. Raccontare e riscoprire le storie, in modo tale da ridare ad ogni persona dignità ed un volto con nome e cognome, senza nessuna distinzione, pregiudizio o luogo comune, questo l’invito che Ungaro ripropone ricordando il concetto che Papa Francesco ripete ai giornalisti in ogni messaggio per le comunicazioni sociali. La scuola gestita dalla Figlie di Maria Ausiliatrice a Nazareth, mentre a Betlemme, in Palestina, la scuola Effetà “Paolo VI” per sordi gestita dalle suore Dorotee Figlie dei Sacri Cuori, la scuola College des Fréres ed il circolo culturale Casa dei Magi, questi i progetti visitati nel viaggio.

“Questo viaggio lo riassumo con una parola: prossimità. Credo che i giornalisti si portino a casa la ricchezza di una firma”, le parole di don Enrico Garabuio, Servizio interventi caritativi per lo sviluppo dei popoli della Cei, che ricorda come nell’assemblea dei vescovi di maggio siano stati stanziati 80 milioni di euro per gli interventi caritativi nei Paesi in via di sviluppo, tra questi proprio Israele e la Palestina, interessati da progetti nel campo educativo e culturale che favoriscono il dialogo interreligioso ed educazione, quindi scuole gestite da missionari religiosi. “La Chiesa italiana non è una Chiesa poco audace ma una Chiesa silenziosa che opera nel silenzio. Quindi anche le nostre opere di carità, talvolta, è un bene non detto, non annunciato”. Aggiunge il sacerdote della Cei, sottolineando l’importanza della testimonianza, di un atto d’amore generoso e gratuito, senza il bisogno di un riconoscimento.

Oltre l’incontro con le pietre vive che animano la Terra Santa attraverso le esperienze viste a Nazareth ed a Betlemme, il viaggio ha permesso di confrontarsi con mons. Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, e padre Francesco Patton, custode di Terra Santa, entrambi riferimento per il mondo cattolico, parte della piccola percentuale del 2% totale che rappresenta i cristiani in quei luoghi.

foto SIR/Marco Calvarese

“La Terra Santa è un territorio dove diverse placche si scontrano, umane, culturali e religiose. Oriente, occidente, cristiani, ebrei, musulmani, culture diverse. Questa è una faglia umana dove queste tensioni molto spesso vengono fuori, ma è anche la ricchezza di queste comunità”.

Le parole di mons. Pizzaballa che descrive una situazione complicata sia politica, tra israeliani e palestinesi, che tra le Chiese cristiane, indebolite nei numeri ma anche nelle relazioni, ma ha bene in mente come vivere da cristiani, seppur in minoranza, in un contesto plurireligioso e pluriculturale. “In questa terra così lacerata e divisa, i cristiani sono gli unici che possono dire una parola chiara sulla relazione tra giustizia, verità e perdono. Ed è un tema molto sentito qui, molto faticoso, molto doloroso, però riguarda la vita di tanti popoli. Sono tante le cose di cui Gerusalemme dovrebbe parlare di più”. Una minoranza evidenziata anche nell’intervento di padre Patton, testimone di un operato a favore della riconciliazione in tutto il Medio Oriente, tra popoli e religioni diverse, attraverso la testimonianza fatta di servizio e prossimità come le opere sostenute.

foto SIR/Marco Calvarese

“Le scuole sono necessarie per coltivare l’identità cristiana, in modo tale che i nostri cristiani riescano a capire che essere cristiani di Terra Santa non è una maledizione, ma è una vocazione”, le parole del Custode di Terra Santa che. Aggiunge, “Purtroppo, per il fatto che si sentono abbandonati dal resto del mondo, molti cristiani di Terra Santa, qui e ancor più quelli che vivono in zone di guerra come Iraq, Siria, Libano, non la sentono come una vocazione, la sentono come una specie di fatto avverso. Però è invece importante aiutarli a capire che è volontà di Dio, sono gli eredi delle prime comunità. È grazie ai loro antenati che anche noi siamo diventati cristiani, ed è grazie anche a loro che noi possiamo anche custodire i luoghi santi”.

Dei luoghi che hanno caratterizzato l’esperienza vissuta dai giornalisti dei settimanali cattolici, pellegrini in una terra che testimonia la loro fede, guidati da mons. Vincenzo Peroni che descrive la dimensione del pellegrinaggio come costitutiva per l’esperienza religiosa, un cammino esteriore che deve educare un cammino interiore. “È sempre un incontro con il Signore, una ricerca della presenza di Dio che viene fatta in alcuni luoghi che sono segnati da esperienze particolari. Un movimento interiore di risposta ad una chiamata che Dio fa attraverso la sua Parola”, dichiara mons. Peroni che vede come doveroso, nei limiti delle possibilità di ognuno, il pellegrinaggio in Terra Santa per un cristiano, “conoscere i luoghi nei quali la storia della salvezza si è compiuta singolarmente, dove è avvenuta l’incarnazione e passione morte del Signore Gesù, consente di comprendere il Vangelo non solo da un punto di vista razionale, ma con tutte le dimensioni della propria persona. È il luogo dove l’evento della nostra fede si è compiuto e dove la nostra fede può trovare nuovamente sostanza”.

Altri articoli in Mondo

Mondo