Il golpe è fallito, ma i problemi del Paese restano aperti. Dalla Chiesa appello all’unità

Più che un tentativo di golpe, quella di Pedro Castillo, ormai ex presidente, è stata una mossa disperata per evitare l’impeachment da parte del Congresso, che, ormai al terzo tentativo, sembrava inevitabile. Nel giro di un’ora, si è capito che Pedro Castillo era rimasto solo. Così, il suo proclama, con il quale si scioglieva il Parlamento e si dichiarava il coprifuoco, è rimasto lettera morta. Il presidente ha allora cercato, con la moglie, di fuggire dal Paese, ma è stato ben presto bloccato e tratto in arresto

(Foto ANSA/SIR)

Si è mai visto un golpista che, con una faccia da cerbiatto impaurito, legge il decreto con cui annuncia di prendere i pieni poteri, con le mani che gli tremano? È accaduto mercoledì in Perù, ma più che un tentativo di golpe, quella di Pedro Castillo, ormai ex presidente, è stata una mossa disperata per evitare l’impeachment da parte del Congresso, che, ormai al terzo tentativo, sembrava inevitabile. Nel giro di un’ora, si è capito che Pedro Castillo era rimasto solo: abbandonato dai suoi ministri, e soprattutto senza l’appoggio dell’Esercito e della Polizia, che hanno emesso un comunicato congiunto, nel quale affermavano di non essere disponibili ad avallare la rottura dell’ordine costituzionale.

Così, il proclama di Castillo, con il quale si scioglieva il Parlamento e si dichiarava il coprifuoco, è rimasto lettera morta. Il presidente ha allora cercato, con la moglie, di fuggire dal Paese, ma è stato ben presto bloccato e tratto in arresto. Nel frattempo, il Parlamento ha avuto la strada spianata per votare la decadenza, per inidoneità morale, di Castillo. Automaticamente, gli è subentrata la vicepresidente, Dina Boluarte, avvocata della regione interna dell’Apurimac, che già aveva preso le distanze dal presidente qualche settimana fa, non mettendo la sua firma in Consiglio dei ministri sulla questione di fiducia, e poi immediatamente dal tentativo di golpe.

Una democrazia fragile. Si è, dunque, conclusa, nel modo più inglorioso, la breve esperienza, durata circa un anno e mezzo, di Pedro Castillo alla guida del Paese forse più corrotto e instabile del Sudamerica. La sorprendente vittoria al fotofinish di questo insegnante e sindacalista che veniva dalla regione andina del Cajamarca, candidato dal partito di estrema sinistra Perù Libre era stata salutata con grandi speranze dalle popolazioni più povere e periferiche del Paese, mentre era stata vista con sospetto dalla gente di Lima. Fin da subito, Castillo ha mostrato di essere inadatto a esercitare l’incarico; ha cambiato quattro volte il primo ministro, con varie giravolte politiche e accordi con partiti di destra, sono cambiati oltre ottanta ministri. Negli ultimi mesi, sono arrivate su di lui varie accuse di corruzione e di aver cercato privilegi per sé e la sua famiglia. Nelle scorse settimane, per tentare di puntellare la presidenza sempre più traballante, aveva invocato la presenza nel Paese di una missione dell’Organizzazione degli Stati americani (Osa).

Va detto che Castillo è stato la manifestazione, ma non certo la causa, della grave crisi delle istituzioni democratiche del Paese, che vanta due record difficilmente superabili: quello di aver avuto, con Dina Boluarte, sei presidenti della Repubblica negli ultimi sei anni e mezzo; e quello di aver avuto quasi tutti gli ex presidenti della Repubblica degli ultimi decenni indagati per corruzione e, nella maggioranza dei casi, finiti in carcere.

Problemi ancora aperti. Insomma, i problemi per il Perù non sono certo finiti, come mette in evidenza, parlando con il Sir, Wilfredo Ardito Vega, giurista ed esperto di diritti umani, docente alla Pontificia Università Cattolica del Perù: “Castillo ha fatto grandi danni al Perù e alle istituzioni, era diventato un problema e il fatto che ora non ci sia più è già un fatto molto positivo – afferma -. Qualcuno, con analisi frettolose, lo aveva accostato a torno alla nuova sinistra latinoamericana del colombiano Gustavo Petro e del cileno Gabriel Boric. Niente di tutto ciò: l’ex presidente è stato un opportunista, un sindacalista che mescolava alcune posizioni di sinistra a tratti reazionari. Ha cercato vantaggi per sé e la sua famiglia”.

Ma la situazione del Paese resta difficile e incerta: “La presidente Boluarte, secondo la Costituzione, può rimanere in carica fino al 2026. Molti, anche da sinistra, chiedono che si vada subito a elezioni, ma a mio avviso si tratta di una proposta sbagliata. La democrazia nel Paese è estremamente fragile. Dal 2016, quando Keiko Fujimori, dall’opposizione, ha cercato in tutti i modi di far dimettere l’allora presidente Pedro Pablo Kuczynski, c’è stata una gara a far decadere le principali cariche del Paese, in modo distruttivo. Spesso non c’è stato dialogo tra Governo e Parlamento, i politici si sono comportati come bambini capricciosi. Difficilmente, nuove elezioni, ora, darebbero al Paese un assetto più stabile, probabilmente prevarrebbero proposte estremiste, di destra o di sinistra. Forse sarebbe meglio far decantare la situazione e avere il tempo di organizzare delle proposte politiche migliori”.

Certamente, “Boluarte non ha una grande esperienza istituzionale”. Eletta anch’ella con la lista Perù Libre, ha preso presto le distanze dal suo leader, Vladimir Cerrón. “Ma ha un profilo migliore di Castillo, merita una possibilità”, conclude Ardito Vega.

Dalla Chiesa appello all’unità. L’auspicio di una fase di decantazione e di una stagione di dialogo in vista del bene comune sembra essere, in queste ore convulse, anche la posizione della Chiesa peruviana. La Conferenza episcopale (Cep), con tempestività, subito dopo il tentativo di golpe, ha preso le distanze da Pedro Castillo, condannando in una nota “con forza, e in modo assoluto, lo stravolgimento dell’ordine costituzionale. È diritto e dovere morale dei popoli e dei cittadini di la difesa della democrazia”. La nota invitava alla calma e all’unità nazionale.

Successivamente, dopo il giuramento di Dina Boluarte, il presidente della Cep, mons. Miguel Cabrejos, arcivescovo di Trujillo, ha detto che “grazie a Dio un capitolo della nostra storia si è chiuso con il rapido ritorno alla democrazia”. L’arcivescovo ha messo in evidenza il fatto che il tutto è avvenuto velocemente e senza alcun tipo di violenza.

Subito dopo il giuramento della nuova presidenza, è stato il primate del Perù, l’arcivescovo di Lima, mons. Carlos Castillo Mattasoglio (che aveva incontrato il presidente Castillo soltanto in occasione delle Messe solenni in cattedrale) a percorrere i pochi passi che separano l’arcivescovado dal palazzo presidenziale per incontrare la presidente Boluarte. L’arcivescovo di Lima ha elogiato il primo discorso del capo dello Stato, per aver richiamato “all’unità sulle cose da fare”, e ha auspicato una diminuzione delle tensioni, perché siano affrontati e risolti “i problemi economici e sociali che attualmente coinvolgono i peruviani”.

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