Le donne e il velo dell’Iran

La morte della giovane Masha Amini, condannata per non aver correttamente indossato il velo, ha ridato fiato e coraggio alle donne iraniane che, da giorni a questa parte, sfidano apertamente il regime dei mollah. Ora scendono in piazza in più di 150 città, bruciano, capelli al vento, l’hijab, il velo che devono severamente indossare per coprire il capo.

foto SIR/Marco Calvarese

La morte della giovane Masha Amini, condannata per non aver correttamente indossato il velo, ha ridato fiato e coraggio alle donne iraniane che, da giorni a questa parte, sfidano apertamente il regime dei mollah.
Ora scendono in piazza in più di 150 città, bruciano, capelli al vento, l’hijab, il velo che devono severamente indossare per coprire il capo.
Non sono sempre sole, spesso gli uomini le accompagnano e condividono la protesta con lo slogan “Donna, vita, libertà”. Una protesta che costa molto cara in termini di repressione da parte della “polizia religiosa” e che ha già fatto un’ottantina di vittime e più di 1.200 arresti. Queste manifestazioni non sono le prime che scoppiano in Iran, anzi. Va ricordata soprattutto la manifestazione dell’8 marzo 1979, all’indomani dell’ascesa al potere dell’ayatollah Khomeini che aveva imposto il velo islamico alle donne e la loro sottomissione alla legge della sharia. Nei tempi più recenti vanno ricordate le manifestazioni del 2009, del 2017-2018 e del 2019, rivolte in particolare contro la corruzione, la politica di austerità, l’aumento del prezzo della benzina, le condizioni politiche, economiche e sociali di vita che, nell’insieme, avvelenano la quotidianità della popolazione iraniana.
Le manifestazioni in corso nascono tuttavia non solo dalla stanchezza di una situazione interna sempre più difficile, ma anche dalla profonda umiliazione che le donne subiscono da più di quarant’anni a questa parte, condannate con violenza ad un’esistenza senza diritti. La morte di una ragazza, colpevole di aver lasciato sfuggire una ciocca di capelli dal velo, ha scosso profondamente non solo le donne, ma l’intera popolazione, la quale, al di là della classe sociale o dell’etnia a cui appartiene, ha deciso di sfidare apertamente il regime della repubblica islamica e di chiedere a forza un cambiamento.
È la prima manifestazione infatti in cui le divisioni interne, etniche e sociali della popolazione, fra Curdi, Arabi iraniani e Turchi ad esempio, vengono superate, in particolare grazie al coraggio delle giovani generazioni, per denunciare una comune e condivisa oppressione da parte di un regime che non ha mai esitato ad usare anche le fratture etniche per dividere la sua popolazione.
Il coraggio e la determinazione degli iraniani sono, ancora una volta, messi in luce da queste rivolte: è una società cambiata in profondità negli ultimi anni e oggi ancor più decisa e tenace nel rivendicare giustizia e cambiamento, anche se cosciente del fatto che all’orizzonte delle proteste, purtroppo, appaiono soltanto risposte di rinnovata repressione e violenza. Lo ha ribadito il Presidente Ebrahim Raisi con queste crude parole : “Il Governo non consentirà, in nessun caso, ai manifestanti di mettere a rischio la sicurezza del Paese”.
Nel frattempo le manifestazioni in Iran hanno superato i confini del Paese e hanno scosso anche l’opinione pubblica in Occidente e in Europa, oggi più che mai rivolta alla guerra in Ucraina e al confronto con la Russia. Le donne iraniane, in prima fila in questo sanguinoso braccio di ferro, chiedono sostegno e aiuto per non essere dimenticate. Sono voci che oggi si affiancano a quelle delle donne afghane, anch’esse impegnate in una coraggiosa resistenza nei confronti dei talebani e per la difesa dei loro elementari diritti. È un dovere in particolare per la nostra Europa, impegnata in una difficile battaglia per difendere i suoi valori fondanti, non distogliere l’attenzione da chi lotta per tali valori anche al prezzo della propria vita.

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