Napoli multietnica: la Sanità e lo Sri Lanka. “Bassi”, riso al curry e miracoli

Sono oltre 12mila i cittadini originari dello Sri Lanka a Napoli, secondi per numero solo agli ucraini. In quattromila vivono nel Rione Sanità. Abitano nelle case e nei “bassi”. La stragrande maggioranza è cattolica. Viaggio dentro il “miracolo”, tra luci, ombre e turismo di massa

(Foto I.D.B./Popoli e Missione)

Al numero civico 17 di via Santa Maria Antesaecula, sotto l’arco di un fatiscente cortile interno, sono ammonticchiati mobili vecchi, un armadio in formica e un divano in finta pelle. Una ragazzina dai lunghi capelli neri mi vede entrare e fa cenno di guardare verso casa sua. Dalla porta spalancata al piano terra si affacciano la mamma (sulla cinquantina, vestita in modo tradizionale) e tre dei suoi quattro fratelli maschi, uno dei quali ha un forte accento napoletano. In un solo ambiente si dorme e si cucina. La famiglia è originaria dello Sri Lanka, ma da una decina di anni abita a Napoli, in uno dei molti “bassi” del rione Sanità. Nella stessa via, al numero 107, nel 1898 nasceva Antonio de Curtis, in arte Totò. “Prendono casa qui alla Rione perché costa meno, anche solo 500 euro”, mi informa un uomo in maniche di camicia che sosta sul motorino all’ingresso della futura casa-museo di Totò. Nel “basso” di fronte, un gruppetto di ragazzi dello Sri Lanka sta facendo festa, con musica e cibo.

(Foto I.D.B./Popoli e Missione)

In città per fare la badante. La porta è spalancata e la festa si estende da fuori a dentro, senza soluzione di continuità. Vengo inglobata nello stretto circoletto, tra odori di riso al curry e spezie che non so nominare. Alzando appena un po’ lo sguardo, in cima al portone di fronte, campeggia sempre il volto del grande comico napoletano. “Oggi non si lavora”, dicono i promotori della festa. Durante la settimana, invece, per otto ore al giorno, si sta nelle case “degli altri”, per lo più nei quartieri ricchi, a fare lavori di cura. Badanti e domestici, ma anche piccolo commercio di prossimità nel Rione. Giacinta è una donna srilankese di 66 anni, va a messa a Santa Maria dei Vergini tutte le sere alle 18.30. La incontro al termine della funzione celebrata dal parroco, don Enrico Assini. I figli di Giacinta vivono uno a Verona e l’altra a Milano: “Sono arrivata a Napoli quando mi ha chiamato la sorella di mio marito, che c’era la possibilità di fare la badante. Ho assistito tante persone anziane in questi 20 anni”, racconta.

(Foto I.D.B./Popoli e Missione)

Cattolici devoti alla Vergine. Sono più di 12mila i cittadini srilankesi di Napoli, per il 70% vivono tra il quartiere Stella e l’Avvocata (adiacente alla Sanità). Aisha e suo marito hanno aperto un ristorantino di cucina asiatica appena un mese fa all’ingresso del Rione Sanità: si chiama “Black Sakura”. Mi mostra per prima cosa il forno a legna e si scusa perché ancora non possono farci la pizza. “Per ora puoi mangiare il riso con la carne e le verdure, sono i nostri piatti tipici”. Dal mese prossimo forse arriverà anche il cuoco napoletano. “Ci siamo trasferiti qui 15 anni fa da Chilaw, bellissima città sull’Oceano Indiano”, dice Aisha. “Io sono devota a padre Pio, vado spesso in pellegrinaggio a Pietrelcina”. La comunità “napoletana” dello Sri Lanka in effetti è cattolica al 90% e la fede è incrollabile: “C’è una devozione molto forte verso la Vergine, San Sebastiano, San Giuseppe Moscati e San Giuseppe – conferma don Enrico –. Custodiscono una fede che noi abbiamo perso. Perché persino la religiosità napoletana ha subito un cambio di rotta”. E così è più facile vedere loro a pregare presso le decine di edicole sacre disseminate in città. Le famiglie numerose e ben vestite, il giorno della festa si presentano a Santa Maria dei Vergini che ospita la comunità più grande di Napoli, dopo quella del Gesù Nuovo. “Accogliamo tremila fedeli di origine srilankese”, dice il parroco con un certo orgoglio. “Il culmine di tutto avviene il giorno del Venerdì santo quando facciamo una grandissima processione bilingue guidata dal cappellano srilankese”. Nel solo quartiere Stella, compreso nell’esteso Rione Sanità, la popolazione srilankese residente supera le quattromila persone. In centro storico sono circa tremila. Ma quando è successo che il Rione-ghetto cambiasse volto, fondendo assieme napoletanità verace e cultura asiatica cristiana?

(Foto I.D.B./Popoli e Missione)

È davvero un “miracolo” la Sanità? La Sanità, raccontata come impresentabile condensato di vite ai margini, da una decina di anni non è più tale. Perché, conferma pure il parroco, “è avvenuto il miracolo”. La zona di ingresso al Rione, “quella dei Vergini e delle Fontanelle ha vissuto un exploit: non è più permeata di paura e criminalità”, dice don Enrico. E il merito va alla Chiesa cattolica locale e a padre Antonio Loffredo. Grazie alla riapertura delle Catacombe di San Gennaro e San Gaudioso; alla (oramai celebre) Cooperativa La Paranza; alla trasformazione totale delle ricchezze culturali in “oro”. E da ultimo allo “Jago museum” presso Sant’Aspreno ai Crociferi. Insomma, il Rione ha fatto il salto. E questo i media lo hanno raccontato fin troppo bene. Molto bene si è descritto l’esodo dallo Sri Lanka a Napoli a partire dai primi anni Duemila. La “Rete Sanità” del comboniano padre Alex Zanotelli dal 2004 porta avanti un contributo prezioso per tutti, grazie alle battaglie sui servizi pubblici, l’acqua pubblica, la mobilità, la scuola. Per capire meglio il “miracolo” e avere ragguagli sul “fenomeno” Sri Lanka, vado a trovare Luigi Salerno, responsabile dell’associazione “Traparentesi” che ha operato alla Sanità e oggi si occupa soprattutto di integrazione degli ultimi arrivati. “Il famoso ‘modello Sanità’ – svela Luigi – contiene in realtà una retorica potente. Si è passati dal descrivere il rione come ‘abominio’ al considerarlo un quartiere di punta. Ma in assoluto, non è vera nessuna delle due versioni”. La narrazione della Sanità come rinascita dal nulla “non può accettare la persistenza della bruttezza e della difficoltà. Perché altrimenti entrerebbe in conflitto con questo nuovo potente immaginario molto mediatizzato”.

(Foto I.D.B./Popoli e Missione)

Il turismo di massa come bolla. Capisco quel che intende dire, quando, poco oltre i murales colorati e gli splendidi ingressi delle catacombe “rinate”, mi inoltro nel Rione più sofferto. Di una povertà mai grigia. Fatta di tanti aspetti irrisolti. Sulla carenza dei diritti c’è ancora tanto da fare, nonostante le Cooperative di comunità. “C’è disagio abitativo, assenza di diritti di cittadinanza e scarso accesso ai servizi socio-sanitari”, spiega Luigi Salerno. Gli ultimi arrivati nel Rione (e chi non ha mai beneficiato dei vantaggi delle Cooperative) devono ricominciare sempre daccapo. C’è da dire che “quindici anni fa non lo potevi neanche attraversare il Rione Sanità – prosegue Luigi –. Oggi ci sono decine di B&B e i turisti vengono apposta per le Catacombe. Però la retorica della bellezza fatica ad accogliere la bruttezza che invece resta”. All’origine del persistere del disagio, c’è un turismo di massa che ha reso impossibili gli affitti per i residenti e trasformato il centro storico e anche la Sanità che è lì a un passo, in un grande e pacchiano mercato. “Il turismo ci ha dato una bella mazzata!”. Non si trovano più case in affitto a Napoli e i piccoli commercianti si trasformano tutti nella stessa cosa: friggitori di pizza e “cuoppi”. “Molti diranno di no, che il turismo ci ha salvato – spiega ancora Salerno –, ma io non credo: ci sono troppi ‘bassi’ riadattati a stile ‘lounge’ per far vivere al turista l’esperienza… Mentre sarebbe più saggio riqualificare le abitazioni e dare alle persone condizioni di vita decenti”.

*il reportage completo è sul numero di aprile di “Popoli e Missione”

 

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