
Nel nostro Paese gli infermieri sono 458.112, la metà dei quali ha più di 50 anni. Secondo la Ragioneria dello Stato, si stima una carenza di 65mila unità in tutta Italia, di cui circa 30mila previste dal Pnrr per l’assistenza territoriale. A questo si aggiunge anche l’andamento della cosiddetta “gobba pensionistica”, ovvero gli infermieri che andranno in pensione. Cresce però il numero degli infermieri stranieri attivi in Italia: oggi circa 43.600 con un aumento del 47,3% dal 2020. È quanto emerge dal primo Rapporto sulle professioni infermieristiche, realizzato dalla Federazione nazionale degli ordini delle professioni infermieristiche (Fnopi) in collaborazione con la Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, curato da Milena Vainieri e Lorenzo Taddeucci e presentato il 12 maggio a Roma, a Palazzo Rospigliosi, in occasione della Giornata internazionale dell’infermiere. Obiettivo del report, spiega Milena Vainieri, “offrire un quadro informativo aggiornato e consolidato, in grado di supportare la riflessione e l’elaborazione di politiche basate su dati e analisi, a partire dalle principali dimensioni che definiscono la professione infermieristica nel contesto del Servizio sanitario nazionale”.

(Foto Fnopi)
Il rapporto medio infermieri/abitanti è pari a 6,5 infermieri per ogni mille abitanti, nettamente inferiore al valore medio europeo (8,4), ma il rapporto più basso si registra nei due estremi della penisola: Sicilia e Lombardia con un valore del 3,5, spiega Lorenzo Taddeucci. A livello di stipendio, i professionisti italiani guadagnano molto meno della media europea: 32.700 euro lordi l’anno contro i 39.800 della media Ocse. Gli infermieri meglio pagati sono in Trentino Alto-Adige ed Emilia-Romagna, mentre i salari minori si registrano in Campania e Molise. Gli infermieri più soddisfatti sono tra coloro che lavorano nel contesto dell’assistenza domiciliare, sul territorio, rispetto a quanti operano in ospedale, ma molti continuano a scegliere il settore pubblico (nel 2023 il 78,9% dei laureati).
La formazione si conferma il punto di forza e di svolta per lo sviluppo della professione infermieristica. Significativo il dato sulla progressiva diminuzione dell’età media alla laurea triennale, che passa da una percentuale maggiore per la fascia di età superiore ai 27 anni nel 2004 fino a concentrarsi nella fascia da meno di 23 a 24 anni nel 2023 (36,1%), attestandosi su un’età media di 25,2 anni. Anche sulla provenienza degli studenti si nota un’evoluzione interessante: aumenta in modo significativo la percentuale di iscritti ad Infermieristica provenienti da licei: nel 2023 il 68,2%. Altrettanto significativo il dato del 2023, con il 92,3% dei laureati magistrali che ha trovato lavoro in un ambito coerente agli studi, evidenziando una stretta connessione tra il percorso accademico magistrale e l’ambito lavorativo.
Il tema della carenza degli infermieri “non è solo un problema di retribuzione economica – afferma il ministro della Salute, Orazio Schillaci, nel messaggio inviato all’evento –. Bisogna prevedere percorsi che rendano possibili e agevoli prospettive di carriera”. In questa direzione il Governo “ha adottato una serie di interventi per una valorizzazione economica degli infermieri: misure sulla libera professione per chi lavora nel servizio pubblico, indennità per chi è occupato nell’emergenza urgenza e detassazione degli straordinari, per citarne alcune”. Sulla stessa linea la presidente Fnopi, Barbara Mangiacavalli: la carenza infermieristica “non si risolverà esclusivamente con gli incentivi economici. Preoccupano i tantissimi infermieri che lavorano all’estero dopo essersi formati qui, così come preoccupano coloro che abbandonano gli studi perché non trovano soddisfacente il sistema lavorativo. I giovani cercano lavori con competenze specialistiche”. Ciò che occorre è quindi
“rendere attrattiva la professione, offrendo reali possibilità di carriera, percorsi di crescita e riconoscimento”.
Cabina di regia. Ma per la presidente Fnopi “la complessità della questione infermieristica richiede l’istituzione di una cabina di regia con poteri straordinari in grado di coinvolgere più strutture di vertice e toccare diversi ambiti di intervento per prendere definitivamente un problema che non appartiene a una categoria professionale, ma all’Italia intera”. Con una popolazione sempre più anziana aumenteranno le persone con patologie croniche già diagnosticate, per le quali “la sfida non sarà solo clinica, ma soprattutto assistenziale: prevenzione secondaria e terziaria, gestione quotidiana delle terapie, educazione alla salute, monitoraggio, attivazione delle reti comunitarie, sviluppo o mantenimento dell’indipendenza”.
Un cambiamento epocale che chiama in causa il territorio come fulcro del sistema sanitario.
Infermiere di famiglia e comunità. All’interno di questa prospettiva, conclude Mangiacavalli, “l’infermiere di famiglia e comunità (Ifec) rappresenta una figura chiave, un professionista integrato nella rete socio-sanitaria territoriale; non eroga prestazioni, ma valuta, educa, progetta, raccorda. È chiamato a conoscere le persone e i contesti in cui vivono, ad attivare risorse informali (familiari, vicinato, volontariato), a costruire percorsi condivisi con assistenti sociali e altri professionisti”.