Autismo. La mamma di Benedetta: “La diagnosi ti stravolge l’esistenza, ma grazie al progetto di vita mia figlia sta facendo nuove esperienze e imparando a vivere”

Noi genitori "siamo troppo coinvolti emotivamente. L’amore può portarci, senza volerlo, a fare scelte sbagliate. In questo modo, invece, ogni passo viene fatto con il cuore, sì, ma anche con metodo, seguendo un protocollo adatto a mia figlia". Parla la mamma di Benedetta, una ragazza con disturbo dello spettro autistico seguita al Serafico di Assisi che, grazie al progetto di vita indipendente, sta condividendo un percorso con altri giovani, facendo nuove esperienze e imparando a conoscere sé stessa. "Sta vivendo", dice con sollievo la mamma

(Foto Istituto Serafico/SIR)

Tra i ragazzi con un disturbo dello spettro autistico accolti e seguiti all’Istituto Serafico di Assisi, centro d’eccellenza nella cura e riabilitazione di bambini e giovani con disabilità complesse, dove si lavora ogni giorno per dare piena attuazione al Progetto di vita indipendente, c’è anche Benedetta. In occasione della Giornata mondiale per la consapevolezza sull’autismo abbiamo raccolto la testimonianza della mamma Gabriella La Rovere, medico e scrittrice, che ci racconta come la figlia sia al centro di un programma che tiene contro dei suoi desideri e aspirazioni per un’esistenza piena e, per quanto possibile, autonoma.

Gabriella, come è cambiata la sua vita dopo la diagnosi di autismo di Benedetta?
Totalmente.

È stata come riscrivere da capo un’altra esistenza, anche dal punto di vista professionale.

Ma soprattutto si sono ridisegnati gli equilibri familiari: nuove dinamiche, nuove priorità. È un cambiamento profondo che investe ogni aspetto della propria identità, non solo come madre.

Quando è arrivata al Serafico, che cosa ha trovato?
Un’accoglienza a 360 gradi, non solo per Benedetta ma anche per me. Ero in un momento di grande fragilità, reduce da un peggioramento nel suo quadro clinico, e il sostegno ricevuto è stato delicato e continuo. Ricordo il modo in cui i medici mi sono rimasti accanto, in maniera costante ma mai invadente: sentivo che c’erano, che mi accompagnavano con discrezione. Benedetta è stata subito affiancata da un educatore esperto e da un’équipe pensata per lei, ed è stato questo a fare la differenza. C’è grande competenza al Serafico, ma anche un’attenzione al benessere della persona, alla sua quotidianità. Ogni ragazzo può scegliere tra tante attività, secondo ciò che lo motiva davvero. E per un genitore, questo è rassicurante.

Che cosa significa per lei sapere che oggi Benedetta è al centro del Progetto di vita indipendente?
È una gioia profonda, anche perché da sola non sarei mai riuscita a costruire un percorso così. Perché da genitori siamo troppo coinvolti emotivamente.

L’amore può portarci, senza volerlo, a fare scelte sbagliate. In questo modo, invece, ogni passo viene fatto con il cuore, sì, ma anche con metodo, seguendo un protocollo adatto a mia figlia.

E io so che è seguita da persone competenti che la conoscono, la rispettano, la accompagnano senza forzarla. Questo per me è un sollievo enorme.

Quali cambiamenti ha visto in Benedetta?
Da quando è al Serafico è sempre stata serena, ma oggi vedo qualcosa in più:

sta sperimentando cose nuove, sta vivendo.

Ha iniziato a fare shopping in piccoli negozi, ha scelto dei calzini colorati, e ha scoperto che le piace. Sono esperienze semplici ma fondamentali, perché le permettono di conoscere sé stessa. Sapere che fa un percorso di vita insieme ad altri ragazzi, che condivide, che partecipa, mi fa sentire sollevata.

Che cosa direbbe oggi a un genitore che si affaccia per la prima volta a questo tipo di percorso?
Gli direi che è una strada che va percorsa con coraggio. È giusto permettere ai propri figli di approdare in una realtà come quella del Serafico, dove sono protetti ma anche liberi di esprimersi. E aggiungo una cosa da madre:

non dobbiamo avere paura di prenderci cura anche di noi stessi.

Il sollievo che realtà come il Serafico offrono alle famiglie è parte del progetto, è parte della cura. Certo, ogni volta che Benedetta torna a casa e poi la riporto lì provo un senso di fatica, ma so che fa parte del cammino. E va accettato.

 

 

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