Festival Sanremo. Cristicchi al Sir: “Dalle tenebre alla luce. In una vita che muore c’è sempre qualcosa che resta”

Dopo avere ricevuto il Premio Lunezia per Sanremo per il valore emozionale di “Quando sarai piccola” e, nel pomeriggio di ieri, l’"Ethical champion" di Cube Radio, l’emittente dell’Istituto universitario salesiano di Venezia, stasera Simone Cristicchi è tra i papabili vincitori del Festival (è già accaduto nel 2007). Il cantautore, attore e scrittore romano ha rilasciato un'intervista al Sir, nonostante la frenesia di queste poche ore precedenti alla finale

(Foto ANSA/SIR)

Dopo avere ricevuto il Premio Lunezia per Sanremo per il valore emozionale di “Quando sarai piccola” e, ieri pomeriggio, l’”Ethical champion” di Cube Radio, l’emittente dell’Istituto universitario salesiano di Venezia, stasera Simone Cristicchi è tra i papabili vincitori del Festival (è già accaduto nel 2007). Tra gli artisti più quotati ad aggiudicarsi il Leone di Sanremo, il cantautore, attore e scrittore romano, che ha compiuto 48 anni la settimana scorsa, trova il tempo per l’intervista con il Sir, nonostante la frenesia delle poche ore precedenti alla finale.

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In “Quando sarai piccola” parla di sua madre colpita da un’emorragia cerebrale e canta: “C’è quella rabbia di vederti cambiare e la fatica di doverlo accettare”. Sono trascorsi 12 anni dall’evento: come si pone verso la malattia?
Sicuramente è subentrata un’accettazione, anche da parte della mamma e della famiglia. Quella dose di frustrazione e impotenza rimane ma, quando una situazione si stabilizza e non c’è più niente da fare, bisogna mettersi l’animo in pace. Altrimenti ci ammaliamo a nostra volta quando freniamo la vita, il flusso naturale degli eventi.

Nel libro “HappyNext. Alla ricerca della felicità” (La nave di Teseo +, 2021) ha ricordato nei dettagli l’accaduto (nel capitolo “Luciana”, nome della mamma): si è ispirato a quel racconto?
Un po’ sì, ma era un tema che volevo affrontare già nel 2019, però non trovavo le parole e la forma adatta. Tutto è partito dal titolo, suggerito da un amico carissimo, Nicola Brunialti; la sua bellissima idea, azzeccata, ha fatto scoppiare la scintilla: era il periodo del lockdown e, in pochi minuti, ho scritto tutta la prima strofa. Poi, insieme ad Amara ho lavorato alla musica, alla melodia e anche il testo: è stato un lavoro di squadra, mio e suo, magnifico, durato molto tempo. La frase sulla rabbia e la fatica, per esempio, l’ho aggiunta parecchio dopo che avevo terminato la stesura, proprio perché mi mancava quella sfaccettatura.

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Ha scelto Amara, la sua compagna, per il duetto de “La cura” di Franco Battiato nella serata di ieri dedicata alle cover. Perché?
Per tantissimi motivi. Ha carisma, una voce unica e poi perché abbiamo realizzato insieme il progetto “Concerto mistico per Battiato” che portiamo in scena da 4 anni e ricomincerà a marzo.

Ieri, nella serata cover, avete inserito ne “La cura” un passo del Salmo 51 in aramaico.
L’intento era aggiungere sacralità. Il salmo è noto anche come “Miserere” e contiene la richiesta di perdono divino per il peccato commesso.

La musica dà conforto?
Sì. A mia madre, durante il coma, facevo ascoltare dei brani degli anni Sessanta che amava molto, sperando che l’avrebbero risvegliata. “Male non fa”, mi disse un medico.

La musica è terapeutica.

“La cura”, i canti gregoriani, tibetani hanno frequenze dagli effetti benefici su corpo, mente, anima. Le origini della musica sono sacre. È nata principalmente come strumento liturgico.

In “HappyNext. Alla ricerca della felicità” ha definito il reparto di terapia intensiva un luogo sacro. Giovedì ha tenuto un concerto nella concattedrale di San Siro qui a Sanremo e cita il Buddha (“Il cambiamento non è mai doloroso, solo la resistenza al cambiamento lo è”). Quali sono i suoi riferimenti religiosi?
Mi reputo un ricercatore spirituale, mi interessa il sacro, l’aspetto mistico della vita, anche nelle piccole cose. Ho vissuto esperienze molto intense in conventi, monasteri, eremi di clausura proprio perché avevo questa curiosità di indagare nel mondo dell’invisibile, di sperimentare la spiritualità.

Oggi penso che ci siano tanti falsi guru: dico sempre che ci sono tante pillole di saggezza ma nessuno guarisce. È una spiritualità fast-food quella di cui disponiamo ora, mentre io credo nella forza delle tradizioni, cattolica, buddista, ortodossa – sono stato anche in un monastero in Kosovo – e queste ricerche mi hanno arricchito interiormente.

Ho percepito che davvero siamo tutti immersi in un grande mistero e lo trovo bellissimo. Come trovo bellissimo il fluire ciclico della vita: in una vita che muore c’è sempre qualcosa che resta, una piccola luce che rimane accesa, che sia il ricordo o siano le azioni compiute. Ecco perché sulla copertina dell’album “Dalle tenebre alla luce” (pubblicato a giugno 2024, l’edizione speciale uscita ieri contiene “Quando sarai piccola”, ndr.) ho messo una stella morente che lascia una scia di luce meravigliosa, simbolo della mia spiritualità.

Un luogo che considera sacro?
La chiesa, indubbiamente, dove si celebrano delle ritualità che sono ancestrali, radicate in noi.

Quando ho necessità di prendere un momento per me, magari passeggio ed entro in chiesa;

mi fermo in contemplazione più che di preghiera, in un silenzio interiore, e trovo sostegno. Mi capita anche in tour. In questi anni sono diventato amico di diversi sacerdoti rivoluzionari come don Luigi Verdi e padre Guidalberto Bormolini e del grande filosofo e poeta Marco Guzzi, che mi ha donato una poesia bellissima: l’ho inserita nell’album, si intitola “L’ultima lezione”. Anche i teatri sono luoghi sacri: come in chiesa, al loro interno si sprigiona un’energia unica. In teatro si crea una frequenza che coinvolge direttamente le cellule cerebrali e, quindi, riguarda la parte interiore, lo sapevano bene gli antichi greci.

Martedì sarà di nuovo impegnato nello spettacolo su san Francesco.
Con “Franciscus, il folle che parlava agli uccelli” sarò a Trieste. Ho pensato al santo di Assisi come un grande maestro, che può aiutarci a tornare umani in questo periodo di grande confusione. Credo che Francesco percepisse la natura come specchio del divino; di conseguenza, distruggere la natura avrebbe significato distruggere sé stesso.

(Foto ANSA/SIR)

Martedì Papa Francesco con un videomessaggio ha raggiunto il pubblico di Sanremo.
Mi ha fatto piacere vederlo in un contesto importante come il Festival e sentirlo lanciare il messaggio della musica strumento di pace. Ho avuto l’onore di incontrarlo tre volte, l’ultima sabato nella Cappella sistina, quando ha ricevuto gli artisti. Ha parlato dell’arte come un mezzo per elevare lo spirito e degli artisti come profeti della bellezza: parole magnifiche.

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