Premio Strega: cercando il senso perduto nel dolore

Il vincitore dell'edizione 2023 è “Come d’aria” della compianta Ada D’Adamo

(Foto ANSA/SIR)

E così lo Strega ’23 è andato a “Come d’aria”. La sua autrice, Ada D’Adamo, non ha potuto gioire del più alto riconoscimento della letteratura italiana, perché scomparsa nell’aprile di quest’anno. Oltre il consueto -e stancante- gioco dell’avevo o dell’avevano detto, vista la inusuale situazione di una scrittrice in concorso non più in vita, che per qualcuno ha fatto muovere i 660 votanti verso questo ricordo, – edito da Elliot, non uno dei consueti giganti editoriali -, di una nuova vita, quella della figlia Daria, sconvolta però dalla disabilità, e insieme quello della propria sofferenza, con la rivelazione della minaccia di una grave malattia, c’è la scelta del racconto della cruda, dura verità dell’esistenza. Soprattutto i corpi sono al centro di una narrazione che rivela le contraddizioni umane di un rapporto in cui l’amore fa i conti con la sofferenza e il disagio, fino all’ammissione della possibilità, ad aver saputo la reale situazione, dell’aborto terapeutico: nient’altro che vita, come ha scritto Elena Stancanelli, con il suo dolente amore, le sue crepe, le contrapposizioni, con i suoi slanci ma anche con le sue paure e le sue rese quando si presentano il dolore e l’apparente non senso.

“Come d’aria” ha in comune con altri finalisti di Villa Giulia a Roma lo sguardo indietro, anche se non solo indietro, la ricostruzione della propria storia attraverso quella degli altri, siano essi i figli, come nel caso del romanzo vincitore, o genitori o intere famiglie: “La traversata notturna” di Andrea Canobbio, alla ricerca del perché della depressione paterna, vista anche come ribellione, “Mi limitavo ad amare te” di Rosella Pastorino, in cui la distanza tra figli e madri è imposta dalla guerra nella ex Jugoslavia, “Dove non mi hai portata”, di Maria Grazia Calandrone in cui si tenta la ricostruzione di quello che è stato chiamato dalla stessa autrice un “omicidio sociale”, o come nel caso dell’ Antoine de Saint-Exupéry di “Rubare la notte”, di Romana Petri (pseudonimo di Romana Pezzetta), con gli affetti che partono dalla amatissima madre per arrivare a quelli delle altre e soprattutto alla ricerca del destino attraverso l’azione inesausta. Fino alla fine anch’essa mistero e leggenda, e alla vana ricerca del suo corpo. E il sospetto che sia stata una morte cercata, come quella del suo piccolo principe.

La ricerca della differenza e della fusione dei corpi di madre e figlia posti sul baratro dalla malattia, come nella storia che ha vinto lo Strega, delle radici attraverso le apparenti rovine di amori proibiti dalle leggi di allora, l’esilio di bambini innocenti imposto dalla guerra, la perdita del senso della vita paterna attraverso quella che la vulgata psicoanalitica ha chiamato depressione, la ricerca della verità nella volontaria scelta di morire, non senza aver affidato ad una nuova famiglia incognita una nuova vita per un avvenire migliore, l’allontanamento dalla figura-totem della madre attraverso l’azione, rivelano un nuovo baricentro del sistema editoriale: la riscoperta delle origini attraverso un ritorno al privato che segna l’allontanamento da una letteratura esclusivamente sociale o storica.

 

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