Alessandro Manzoni. Uno scrittore e l’antica lotta contro il male

L'autore de "I promessi sposi" non era mai contento di sé, questo è vero, ma non si trattava di ricerca della perfezione e della fama, quanto di un ascolto profondo della sua anima per capire se ciò che scriveva era giusto, davvero giusto

(Foto ANSA/SIR)

“Piuttosto, sarà da aggiungere qualcosa sul sentimento cattolico del Manzoni: cioè, che esso risponde ad una concezione morale della vita quale anche un non cattolico ma di alto animo fa sua”. Questa definizione del creatore dei “Promessi sposi” a centocinquant’anni dalla sua scomparsa, che ci appare oggi la più giusta, è di Benedetto Croce, un laicissimo pensatore poco propenso a accomodamenti verso il mondo della fede. Il fatto è che quel capolavoro è solo apparentemente semplicistico, del tipo il bene trionfa sul male, lieto fine, arrivederci. No, le cose sono molto più complesse di quanto sembra.

Quella del romanzo è la gestazione durata oltre vent’anni di una storia che non faceva dormire sonni tranquilli al suo autore e che ci invita a porci qualche domanda: perché non è bastato un primo Fermo e Lucia, perché non la prima edizione del 1827, e perché anche quando uscì la cosiddetta quarantana (a fascicoli, come si usava, fino al 1842) il buon Alessandro non trovò pace e scrisse il saggio “Del romanzo storico”, in cui praticamente segnava la condanna a morte della sua creatura, né storia né finzione?

Manzoni non era mai contento di sé, questo è vero, ma non si trattava di ricerca della perfezione e della fama, quanto di un ascolto profondo della sua anima per capire se ciò che scriveva era giusto, davvero giusto. Anche perché, pochi lo mettono in rilevo, il romanzo venne guardato con sospetto soprattutto dal mondo ecclesiale, visto che una monaca, un frate, nel suo passato omicida, un parroco avevano a che fare con il male. Don Abbondio non celebra il matrimonio per paura e la monaca di Monza cede alle lusinghe di un libertino. E il salvatore per eccellenza, fra Cristoforo, aveva ucciso, prima di dedicarsi a Dio e agli ultimi.

Sul versante dell’amore più o meno lecito dobbiamo fermarci un attimo, perché le cose non stanno come alcuni sostengono. Aldo Spranzi ha creduto di vedere nei “Promessi sposi” una sorta di doppio manzoniano, opposto a quello cristiano, in cui il male sembra trionfare. Un po’ parziale come interpretazione. Secondo alcuni il cattivo don Rodrigo non sarebbe poi così cattivo: in fondo, magari era innamorato di Lucia (e sull’importanza di questo personaggio torneremo tra poco). In realtà, come sappiamo, Manzoni viene da un passato sensista e scapestrato, soprattutto per la sua passione verso il gioco d’azzardo, e aveva familiarità con il pensiero libertino. Libertino al cento per cento è don Rodrigo che non desidera Lucia per amore, ma solo per gioco, per scommessa, come afferma lui stesso, nella testimonianza della fanciulla importunata per strada: “E intanto aveva sentito quell’altro signore (il conte Attilio) rider forte, e don Rodrigo dire: scommettiamo”.

Eccolo il senso del corteggiamento, altro che innamoramento: una scommessa per vedere se Lucia sarebbe caduta nel tranello, piacere puro, come nel caso di Egidio che seduce la monaca solo per la voluttà di osare sempre più oltre, secondo la lezione libertina. È una delle facce del male, per chi quel male lo aveva conosciuto: la ricerca della trasgressione per noia, per abitudine, per saggiare le resistenze del bene.

E Lucia, il personaggio sacrificato secondo molti critici ad un ruolo di sfondo, senza importanza? In realtà la sposa promessa nel suo silenzio rimanda ad una immagine mariana, quella dell’icona: Manzoni avrebbe potuto descrivere una fanciulla vezzosa se pure popolana, in tutte le sue sfumature. Eppure preferisce, come molti pittori di icone, tornare all’immagine mariana, alla apparente semplicità di chi non ha bisogno di parole, e che guarda, semplicemente con la sua accettazione della Parola. La rinuncia alle sottigliezze della prospettiva, che è pur sempre sensoriale e non oggettiva, a favore di qualcosa che ci appare come nuova figura che ha cambiato il mondo attraverso un umile sì. Manzoni stesso doveva la sua conversione all’amore di Enrichetta Blondel, la sposa che aveva camminato con lui verso la luce e la speranza.

Semplicemente,

“I promessi sposi” rappresentano l’accettazione del bene nonostante le lusinghe del male.

E non hanno un lieto fine: se mai l’inizio di una storia diversa, ma con la forza di un amore che li ha sorretti nel duro confronto con quel male.

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