Elsa, invisibile per 9 anni. Gazzi (Cnoas): “Oltre a prevenzione e servizi efficienti, serve un forte senso di responsabilità collettiva”

Prevenzione e servizi sociali messi in grado di funzionare in modo omogeneo su tutto il territorio nazionale con risorse e personale adeguati. Ma anche una cultura di comunità e un forte senso di responsabilità collettiva senza i quali i servizi non bastano. Questi, secondo il presidente del Consiglio nazionale ordini assistenti sociali, gli strumenti per prevenire e contrastare vicende drammatiche come quella della bimba del Napoletano rimasta "invisibile" per nove anni

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

Invisibile per nove anni come se non esistesse. Nove lunghissimi anni vissuti in una famiglia da incubo nell’hinterland napoletano, trascurata dai genitori e probabilmente maltrattata e percossa. Oltre alla colonna vertebrale deformata, la piccola Elsa (nome di fantasia) presenta infatti anche fratture scomposte agli arti superiori e inferiori. Finalmente, infrangendo l’incredibile muro di indifferenza e silenzio, una segnalazione fa emergere la vicenda; la bimba, che ancora non parla e non riesce a camminare, viene sottratta ai genitori e affidata all’associazione di Napoli “La Casa di Matteo” dopo un breve ricovero all’ospedale pediatrico Santobono.  Come è possibile che per nove anni nessuno – vicini di casa, scuola, Asl, pediatra di base, servizi sociali – si sia accorto della sua presenza? Lo abbiamo chiesto a Gianmario Gazzi, presidente del Consiglio nazionale ordini assistenti sociali (Cnoas). “Si può entrare solo con estrema delicatezza in un dramma di cui si conoscono ancora pochi elementi – esordisce -; tuttavia è fondamentale ragionare su due livelli. Il primo è il piano del vicinato, delle relazioni, della comunità; il secondo quello della prevenzione e dei servizi

Appunto: dove erano i parenti, i conoscenti, i vicini di casa?

Dove eravamo tutti noi? Questa è la domanda che dovremmo porci interrogandoci come società. Che non è una assoluzione collettiva: siccome non c’era nessuno, anch’io mi tiro fuori dalla mia responsabilità. Lì forse non c’eravamo, ma quante situazioni vedo nella mia rete, che magari sospetto, ma taccio, oppure dico: mi faccio gli affari miei. L’indifferenza non ha scusanti: aiutare o segnalare chi è in difficoltà è un dovere civico.

È mancata – e spesso manca – una cultura di comunità, il senso di una responsabilità collettiva senza la quale i servizi non bastano per prevenire vicende come questa.

Occorre un serio lavoro culturale con la società.

Istituzioni e servizi dove sono stati in questi lunghi nove anni?

Per prevenire, affrontare e contrastare casi come questo occorre un’efficiente rete di servizi: Asl, Comuni, scuola e tutto ciò che ruota intorno alla tutela dei diritti dell’infanzia. L’assessore del Comune di Napoli ha denunciato in molti Comuni del Napoletano, ma sappiamo anche in molte altre parti del Paese, la mancanza di assistenti sociali. La Legge 328/2000, intitolata “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, più nota come Legge Turco e finalizzata a promuovere interventi sociali, assistenziali e socio-sanitari per garantire un aiuto concreto alle persone e alle famiglie in difficoltà, ha 22 anni, ma solo due anni fa si è stabilito il parametro di un assistente sociale ogni 5mila abitanti per arrivare addirittura ad uno ogni 4mila come nuovo obiettivo di servizio, prevedendo fondi in più per aiutare i Comuni a garantire questo livello. Ma ciò rimane sulla carta: a fronte del Friuli-Venezia Giulia dove il rapporto è addirittura di uno ogni 2.500 abitanti, esistono Comuni, soprattutto nel sud Italia ma non solo, dove è previsto

un solo assistente sociale per 50mila abitanti.

Numeri che si commentano da sé. Ripetute stagioni di austerity giustificate dalla necessità di “razionalizzare” la spesa sulla salute si sono tradotte in tagli lineari sul sistema sanitario e ancor più sui servizi sociali. A prescindere dalla vicenda di Elsa, oggi la maggior parte dei Comuni non è in grado di garantire ai servizi sociali due prerequisiti essenziali: tempestività e continuità degli interventi.

E quindi?

Si lavora in una situazione di continua emergenza,

quasi un pronto soccorso dove prendersi carico delle persone più in difficoltà o delle situazioni più gravi, senza poter svolgere la parte preventiva e di costruzione della comunità per poter prendere in carico precocemente situazioni a rischio senza aspettare il dramma.

Situazioni che però richiedono una segnalazione da parte di qualcuno. Chi dovrebbe farla e a chi? È possibile che una bambina sia rimasta “invisibile” per nove anni? L’anagrafe, la scuola, la Asl dove erano?

I mancati investimenti sui servizi non hanno provocato solo l’assenza di alcune figure professionali; il problema è che non si è investito neppure sui sistemi informativi per cui le persone “non risultano”. Io per primo mi domando: questa bambina è nata in una struttura? In un ospedale? Le vaccinazioni le ha fatte? E il pediatra dov’era? Anche se mancano ancora molti elementi per una ricostruzione precisa della vicenda, troppe cose non tornano ed emerge con chiarezza che

nel 2022, non possiamo permetterci nel nostro Paese di “perderci” dei bambini.

Ma per questo servono sistemi informativi efficienti nelle Asl e nelle scuole. Da quel che ho letto, la situazione è venuta a conoscenza dei servizi per il mancato obbligo scolastico: ma ci sono voluti nove anni? In passato, la scuola ha mai segnalato la mancata frequenza della bimba? E se lo ha fatto, a quale servizio e perché questa segnalazione è caduta nel vuoto?

Le politiche sociali e l’assistenza socio-sanitaria sono delegate alle Regioni…  

Sì ma spesso le scelte politiche, e in fase di campagna elettorale come questa è ancora più evidente, privilegiano bonus e trasferimenti economici alle famiglie rispetto alla costruzione di una rete di servizi. La nostra spesa per il Welfare è nella media europea, ma se la analizziamo ci rendiamo conto che, al netto dei trasferimenti monetari, spendiamo un terzo della media europea in servizi sociali, di assistenza, e domiciliari. Insomma spendiamo male i soldi e non costruiamo servizi.

Le missioni 5 e 6 del Pnrr destinano risorse importanti per i servizi sociali e sanitari.

Sì, politiche sociali e sanitarie si intersecano; ad esempio viene previsto il rinforzo dei cosiddetti punti unici di accesso socio sanitario presso le case della comunità. Certo, si può fare di più e meglio ma è pur sempre un buon inizio.

Tornando alla piccola Elsa: che cosa si può fare in caso di sospetto di famiglie disfunzionali o di maltrattamenti a un minore?

Ogni cittadino che venga a conoscenza di un reato è tenuto alla denuncia alle forze dell’ordine. Se si ha invece il sospetto di situazioni a rischio si può tentare di avvicinare le persone coinvolte, parlare, chiedere come stanno, imparare ad ascoltare senza sottovalutare eventuali campanelli d’allarme, eventualmente convincerle a chiedere aiuto magari offrendo loro di accompagnarle.

Tentare insomma un approccio anziché girarsi dall’altra parte.

Dove e a chi eventualmente segnalare?

Ci si può rivolgere al proprio medico di base, ai servizi sociali, ai consultori familiari nati proprio come rete di protezione per le famiglie prima e dopo il parto, ma purtroppo falcidiati negli anni. Oggi anche i farmacisti sono un punto della “rete di sicurezza”, come quando durante il lockdown raccoglievano le richieste di aiuto di donne vittime di violenza. Ai minori è importante spiegare che non devono avere paura di confidarsi in caso di abusi con gli insegnanti, e a questi ultimi occorre indicare, secondo le situazioni, se rivolgersi ai servizi sociali o direttamente a un tribunale.

 

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