This content is available in English

Gli effetti sociali della pandemia. Don Soddu (Caritas): “Tante nuove povertà e un profondo senso di smarrimento e paura”

L'incremento di attività della rete degli Empori della solidarietà a favore dell’emergenza alimentare, la nascita o il potenziamento in molte diocesi di "fondi" per aiutare "i nuovi poveri" e tutte le persone colpite dagli effetti sociali della pandemia. Sono queste le azioni messe in campo dalla Chiesa italiana, tramite la rete Caritas nei territori, per superare la "frattura sociale" causata dalla pandemia. Intervista a don Francesco Soddu, direttore di Caritas italiana.  

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

L’aumento del disagio psicologico-relazionale e di varie forme depressive, i  problemi connessi alla solitudine e all’isolamento. Dei conflitti di coppia e della violenza all’interno della famiglia. La povertà economica legata alla perdita del lavoro e al prosciugamento delle fonti di reddito, tanto da non riuscire a pagare nemmeno l’affitto o il mutuo. Le difficoltà delle famiglie e dei ragazzi con la didattica a distanza. “La pandemia ha indotto in tutti un profondo senso di smarrimento e di paura”. A parlare al Sir è don Francesco Soddu, direttore di Caritas italiana, che da tempo sta raccogliendo i vari segnali d’allarme dai territori dove sono presenti le Caritas diocesane, parrocchiali e i centri d’ascolto. Sono le prime realtà a rendersi conto dei bisogni e dei mutamenti sociali. Sono questi gli effetti della pandemia causati dalla “frattura sociale” e dalla “frattura delle nuove povertà” identificate dal cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei, nella sua ultima prolusione al Consiglio permanente. Recenti dati Caritas ricordano che nel 2020 l’incidenza dei nuovi poveri è passata dal 31% al 45%: quasi una persona su due che si rivolge alla Caritas lo fa per la prima volta. Ne abbiamo parlato con don Soddu.

foto SIR/Marco Calvarese

Chi sono i “nuovi poveri” della pandemia? 

Per “nuovi poveri”, intendiamo persone che per la prima volta hanno sperimentato condizioni di disagio, anche di tipo relazionale e psicologico oltre che di deprivazione economica, tali da spingerli a chiedere aiuto. Prevalgono

i disoccupati, le persone con impiego irregolare fermo a causa delle restrizioni imposte dal lockdown, i lavoratori dipendenti in attesa della cassa integrazione ordinaria o in deroga e i lavoratori precari

o intermittenti che, al momento della presa in carico, non godevano di ammortizzatori sociali.

Quali problemi vengono segnalati dalla rete Caritas e dai centri di ascolto nei territori?

Sul fronte dei problemi, le Caritas diocesane segnalano un incremento sempre più forte dei problemi di povertà economica, legati alla perdita del lavoro e al prosciugamento delle fonti di reddito, e le difficoltà connesse al mantenimento dell’abitazione (affitto o mutuo). Accanto ai classici ambiti di bisogno, comunque aggravati dalla pandemia, sono poi comparsi fenomeni totalmente nuovi, ad esempio

le difficoltà di alcune famiglie rispetto alla didattica a distanza,

a cominciare dall’impossibilità di accedere alla strumentazione adeguata – tablet, pc, connessioni wi-fi. A questo si è aggiunta la fatica di seguire le lezioni con i figli o di aiutarli nei compiti.

Cosa fa la Chiesa in Italia per aiutare e progettare il dopo pandemia? 

L’attenzione e gli interventi della Chiesa sono a 360° perché l’impatto del virus produce conseguenze medico-sanitarie, ma anche psicologiche, sociali, economiche e politiche, amplificate purtroppo per le persone, le famiglie, i gruppi sociali, i Paesi più fragili e più poveri, già sacrificati da una globalizzazione dell’indifferenza e dello scarto. Nel nostro Paese merita di essere sottolineato il potenziamento complessivo di tutti i servizi a livello diocesano. In particolare

l’incremento di attività della rete degli Empori della solidarietà a favore dell’ emergenza alimentare, come pure la nascita o il potenziamento in molte diocesi di “fondi”

destinati a venire incontro a chi per la pandemia ha perso il lavoro o non lo può trovare. In ogni caso anche in questa situazione è decisiva la rete dei Centri di ascolto delle Caritas diocesane e parrocchiali, che pure nelle diverse situazioni di limitazione, continuano ad essere segno di una Chiesa attenta e accogliente verso i bisognosi, anche con risposte innovative e diversificate. Fondamentale, accanto agli aiuti materiali, è

lo stile di ascolto e di relazione che aiuta le persone a non avvertire il senso di abbandono, a rafforzare la propria autostima e a trovare il coraggio per andare avanti.

Quali sono i valori che animano la vostra azione sociale?

Il cuore e la bussola in questa dolorosa esperienza devono essere la fraternità e la solidarietà. Con grande generosità ognuno deve portare i valori di umanità, di fede e di carità che possiede per creare comunione. Sono le premesse fondamentali per affrontare in modo costruttivo i problemi attuali e progettare un futuro libero da tutte le pandemie: della fame, della guerra, della mancanza di istruzione e di lavoro, ecc. .

L’isolamento e la solitudine stanno provocando varie conseguenze, tra cui l’aumento delle malattie legate al disagio mentale. Cosa riscontrate dal vostro osservatorio?

La pandemia ha indotto in tutti un profondo senso di smarrimento e di paura. Colpiscono i numerosi alert delle Caritas inerenti la dimensione psicologica: è stato rilevato un evidente aumento, durante il lockdown, del “disagio psicologico-relazionale”, di problemi connessi alla “solitudine” e di forme depressive. I territori hanno sottolineato anche un accentuarsi delle problematiche familiari, ovvero

conflitti di coppia, violenze, difficoltà di accudimento di bambini piccoli o di familiari colpiti da disabilità, tensioni tra genitori e figli.

Per molti un peso rilevante hanno avuto le preoccupazioni per la situazione economica e anche la vita con i bambini e gli adolescenti chiusi in casa. I genitori hanno vissuto la sofferenza dei ragazzi lontani dagli amici, dei bambini che hanno dovuto adeguarsi a spazi troppo stretti, privi della possibilità di correre e giocare con i coetanei. Tra gli adolescenti, invece, accanto ai ragazzi che non riuscivano a stare a casa, in alcuni casi si è registrato il fenomeno di chi invece si è isolato. Non dimentichiamo infine i problemi di

volontari e operatori che spesso hanno vissuto una sensazione di inadeguatezza rispetto alle troppe richieste di aiuto,

nonché la difficoltà di doversi adattare ai cambiamenti dei servizi che si sono dovuti modificare per restare fruibili.

Altri articoli in Italia

Italia