Incontro vescovi e sindaci del Mediterraneo. Amina Surkovic (Sarajevo): “La diversità culturale strumento migliore per prevenire i conflitti”

Un progetto di formazione alla pace e al dialogo rivolto ai giovani delle aeree del Mediterraneo. È stata questa l'eredità concreta lasciata dall'incontro di Bari “Mediterraneo, frontiera di pace” del 2020 che vide riuniti, nel capoluogo pugliese, i vescovi di diciannove Paesi affacciati sul Mare Nostrum. Una “Opera segno” realizzata dalla Caritas Italiana in sinergia con Rondine Cittadella della Pace, intitolata "Mediterraneo frontiera di pace, educazione e riconciliazione"

Foto Redazione Sir

Un progetto di formazione alla pace e al dialogo rivolto ai giovani delle aeree del Mediterraneo. È stata questa l’eredità concreta lasciata dall’incontro di Bari “Mediterraneo, frontiera di pace” del 2020 che vide riuniti, nel capoluogo pugliese, i vescovi di diciannove Paesi affacciati sul Mare Nostrum. Una “Opera segno”, come venne definita, realizzata dalla Caritas Italiana in sinergia con Rondine Cittadella della Pace, l’organizzazione, fondata nel 1998 da Franco Vaccari, impegnata nella riduzione dei conflitti armati nel mondo e nella “trasformazione creativa” del conflitto in ogni contesto. L’Opera segno – intitolata Mediterraneo frontiera di pace, educazione e riconciliazione – prevede un percorso di 30 mesi (a partire da marzo 2020) di alta formazione rivolto a giovani provenienti da Paesi del Mediterraneo caratterizzati da situazioni di conflitto e di tensioni politiche e sociali (Algeria, Bosnia Erzegovina, Libano, Palestina, Siria).

 

Sarajevo, Amina Surkovic (Foto Rondine)

In vista dell’incontro di Firenze, che prosegue l’esperienza di Bari 2020, il Sir ha intervistato Amina Surkovic, proveniente dalla Bosnia -Erzegovina, impegnata in uno dei progetti che compongono l’Opera Segno, denominato “Educational visits to the war childhood museum”. Amina propone visite educative e laboratori presso il War Childhood Museum (Wcm) di Sarajevo che raccoglie storie di bambini che hanno vissuto e sperimentato la guerra. “I giovani bosniaci – racconta la giovane – non hanno vissuto la guerra ma vivono la sua eredità e spesso rimangono divisi. Superare i limiti e le divisioni indotte dall’eredità passate è possibile con una discussione imparziale sulla nostra storia recente”.

Amina, a che punto è la realizzazione del tuo progetto?
Lavoro nel Wcm, il War Childhood Museum (Museo dell’infanzia di guerra). Si tratta del primo museo al mondo dedicato esclusivamente ai bambini segnati da conflitti armati. Il mio compito è promuovere, con le organizzazioni partner (Rondine, Ministero dell’educazione, scuole di ogni ordine e grado, Istituzioni locale e regionali e Ong) visite educative e laboratori didattici nel museo che raccoglie circa 5.000 storie, manufatti e testimonianze video che documentano le esperienze di persone la cui infanzia è stata colpita dalla guerra. Un lavoro lungo e complesso che prevede anche una intensa ricerca di archivio per trovare nuove storie e testimonianze. Oltre a ciò, ho iniziato a promuovere il mio progetto e la mia esperienza a Rondine attraverso diverse conferenze ed eventi per creare nuovi contatti e raggiungere persone in altre aree di conflitto e post-conflitto.

Sarajevo, museo dell’infanzia di guerra (Foto Rondine)

In che modo questo progetto intende promuovere la coesione sociale nel tuo Paese e nel Mediterraneo?
Dopo la guerra, le scuole che un tempo avevano ospitato una vasta gamma di studenti furono divise secondo le diverse appartenenze etniche, nazionali e religiose. Quindi, oggi, a quasi 30 anni dalla guerra, la società bosniaca sta ancora lottando per sviluppare una nuova coesione sociale.

In questo campo credo che l’educazione possa facilitare il dialogo tra persone di background e prospettive diverse, prevenire la diffusione dell’odio e della violenza e persino portare guarigione e riconciliazione a coloro che hanno sperimentato l’impatto dell’odio, della violenza e della morte nelle loro vite.

Qual è l’eredità che la guerra ha lasciato alle nuove generazioni?
La guerra in Bosnia ed Erzegovina ha provocato profonde divisioni etniche, religiose e nazionali in un paese che un tempo era noto per la sua multietnicità, multiculturalismo e vita comune. Lo Stato oggi è diviso in due entità: la Federazione di Bosnia ed Erzegovina (BiH), composta principalmente da popolazioni bosniache e croate, e la Republika Srpska (RS), composta principalmente da popolazioni serbe. L’approccio al passato di ogni popolazione risente di ciò che ciascuno ha udito dai genitori, amici o dai media. Queste narrazioni divisive sono dannose per la società bosniaca perché determinano atteggiamenti e influenzano le relazioni. Il Mediterraneo ha sempre avuto una storia di relazioni tra le persone e le culture delle terre circostanti. Questo grazie al commercio, ai trasporti, lo scambio culturale tra popoli diversi, ma anche la colonizzazione e le guerre. Fu il centro di alcune delle più antiche civiltà umane, comprese le civiltà egizia, fenicia, greca e romana. Queste civiltà hanno avuto un impatto significativo sulla storia e sull’esistenza delle culture in tutto il Mediterraneo e, di conseguenza, sono una delle chiavi per comprendere lo sviluppo della civiltà occidentale come la conosciamo.

Da culla della civiltà oggi il Mediterraneo è diventato un luogo letale dove molti trovano la morte sfuggendo a guerre, fame, calamità naturali. I Paesi che vi si affacciano, rafforzando il controllo alle frontiere, impediscono la diversità culturale che è lo strumento migliore per prevenire i conflitti. Una migliore comprensione tra culture, fedi, ed esperienze di vita diverse può contribuire a rendere il nostro mondo un luogo più stabile e pacifico e può aiutarci a crescere come società.

Sarajevo, Museo dell’infanzia di Guerra (Foto Rondine)

Dunque, quali obiettivi ti proponi di raggiungere con le visite al museo Wcm?
Le generalizzazioni sugli altri sono troppo spesso fonte di incomprensioni, pregiudizi, paure e violenze. Il mio progetto vuole essere un’occasione per giovani di varie etnie per conoscersi di più. Nei laboratori discutiamo liberamente di argomenti del passato. Solo uscendo dall’inganno avvelenato da una cultura falsa che alimenta l’idea del nemico, come abbiamo imparato a Rondine, è possibile incontrarsi, parlare, ascoltarsi e fidarsi reciprocamente. L’obiettivo principale, dunque, è

aiutare a costruire una narrativa comune condivisa da tutti per alimentare una cultura di pace.

Incontri come quello di Bari del 2020 e ora di Firenze quanto possono servire a creare una cultura di pace? Non c’è il rischio che rimangano confinati nella sfera ecclesiale senza incidere a livello civile?
Gli incontri e gli eventi, come a Bari nel 2020 e a Firenze nel 2022, portano risultati se le intenzioni delle persone che hanno deciso di sostenerli e organizzarli sono sincere. In questo caso non dobbiamo preoccuparci se restano confinati in una dimensione ecclesiale. Sono convinta, infatti, che avvieranno un’ondata di connessioni ed eventi positivi con innegabili ricadute a livello politico e civile.

Cosa ti aspetti dall’incontro di Firenze?
Mi aspetto che i partecipanti presentino valide analisi della situazione attuale ed esempi di buone pratiche. La chiave per la pace è infatti il dialogo, condito dalla volontà di ascoltare e accettare nuove idee e nuove persone.

Altri articoli in Balcani

Balcani