
“È possibile desiderare un pianeta che assicuri terra, casa e lavoro a tutti. Questa è la vera via della pace, e non la strategia stolta e miope di seminare timore e diffidenza nei confronti di minacce esterne”. A garantirlo è Papa Francesco, che nella sua terza enciclica, “Fratelli tutti”, firmata ad Assisi, parla di “amicizia sociale” come via per “sognare e pensare ad un’altra umanità”, seguendo la logica della solidarietà e della sussidiarietà per superare l’”inequità” planetaria già denunciata nella Laudato si’ e nella Laudate deum. “Se si tratta di ricominciare, sarà sempre a partire dagli ultimi”, la ricetta per il mondo post-Covid. La terapia è la fratellanza, il testo di riferimento è il documento di Abu Dhabi e il modello è quello del Buon Samaritano, che prende su di sé “il dolore dei fallimenti, invece di fomentare odi e risentimenti”. Non a caso, è proprio il Documento di Abu Dhabi è la “road map” che Bergoglio ha scelto di consegnare, insieme ai testi del magistero e al Messaggio per la pace dell’anno in corso, ai capi di Stato ricevuti di volta in volta in udienza in Vaticano.
L’istantanea, già consegnata alla storia, che torna alla mente è quella del primo viaggio di un Pontefice nella penisola arabica.
Ottocento anni dopo l’incontro con il Sultano, il primo Papa della storia ad aver scelto di portare il nome di Francesco, firma a quattro mani con il Grande Imam di Al-Azhar un documento che fa soffiare ancora una volta quello che Giovanni Paolo II, proclamato santo proprio da Bergoglio, aveva definito nel 1986 lo “spirito di Assisi”. Dagli Emirati Arabi Uniti, meta del suo 27° viaggio apostolico – terra in cui non ha potuto tornare per la Cop28 a causa dei problemi di salute – Papa Francesco – “come credente assetato di pace, come fratello che cerca la pace con i fratelli” – lancia un messaggio di dialogo, pace e riconciliazione che ha, ancora una volta, una parola d’ordine ben precisa: “Fratellanza”. Il “coraggio dell’alterità” è l’anima del dialogo:
“Non c’è alternativa: o costruiremo insieme l’avvenire o non ci sarà futuro”.
“Costruire ponti fra i popoli e le culture” è il compito urgente a cui le religioni non possono rinunciare. Le religioni non incitano alla violenza e al terrorismo, ma s’impegnano per la dignità di tutti, per la riconciliazione e per “smilitarizzare il cuore dell’uomo”, sintetizza Francesco. “Rispetto, tolleranza, convivenza fraterna, sviluppo umano”, sono gli ingredienti per promuovere una cultura della pace, che comporta la necessità di investire sui giovani, per formare “identità aperte” che non si lascino ingannare da messaggi negativi e fake news. “Una convivenza fraterna, fondata sull’educazione e sulla giustizia; uno sviluppo umano, edificato sull’inclusione accogliente e sui diritti di tutti”: questi, per il Papa, “sono semi di pace, che le religioni sono chiamate a far germogliare. Ad esse, forse come mai in passato, spetta, in questo delicato frangente storico, un compito non più rimandabile: contribuire attivamente a smilitarizzare il cuore dell’uomo”.
“La fratellanza umana esige da noi, rappresentanti delle religioni, il dovere di bandire ogni sfumatura di approvazione della parola guerra”,
l’appello ai leader religiosi presenti: “Insieme, fratelli nell’unica famiglia umana voluta da Dio, impegniamoci contro la logica della potenza armata, contro la monetizzazione delle relazioni, l’armamento dei confini, l’innalzamento dei muri, l’imbavagliamento dei poveri”. Arrivare ad “una governane globale per le migrazioni”, l’auspicio del quarto capitolo della Fratelli tutti, dedicato interamente alla questione dei migranti, da “accogliere, promuovere, proteggere e integrare”, ribadisce Francesco. “Piena cittadinanza” e rinuncia “all’uso discriminatorio del termine minoranze”, l’indicazione per chi è arrivato già da tempo ed inserito nel tessuto sociale. “La vera qualità dei diversi Paesi del mondo si misura da questa capacità di pensare non solo come Paese, ma anche come famiglia umana, e questo si dimostra specialmente nei periodi critici”: no ai “nazionalismi chiusi”, l’immigrato non è “un usurpatore”.
Una cosa è essere a fianco del proprio “popolo” per interpretarne il “sentire”, un’altra cosa è il “populismo”.
Nel quinto capitolo, dedicato alla politica, il Papa stigmatizza l’”insano populismo” che consiste “nell’abilità di qualcuno di attrarre consenso allo scopo di strumentalizzare politicamente la cultura del popolo, sotto qualunque segno ideologico, al servizio del proprio progetto personale e della propria permanenza al potere”. No, allora, al “populismo irresponsabile”, ma anche all’accusa di populismo “verso tutti coloro che difendono i diritti dei più deboli della società”.
“La politica è più nobile dell’apparire, del marketing, di varie forme di maquillage mediatico”,
ammonisce Francesco tracciando l’identikit del “buon politico”, le cui “maggiori preoccupazioni non dovrebbero essere quelle causate da una caduta nelle inchieste”: “E quando una determinata politica semina l’odio e la paura verso altre nazioni in nome del bene del proprio Paese, bisogna preoccuparsi, reagire in tempo e correggere immediatamente la rotta”. “La Shoah non va dimenticata”. “Mai più la guerra”, mai più bombardamenti a Hiroshima e Nagasaki, “no” alla pena di morte. Bergoglio lo ripete, nella parte finale dell’enciclica, in cui si sofferma sull’importanza della memoria e la necessità del perdono. E il pensiero corre agli innumerevoli appelli per la pace in Ucraina e in Terra Santa, che hanno caratterizzato gli ultimi anni del pontificato: “la guerra è sempre una sconfitta”.