24 ore per il Signore: don Spinelli, “in un mondo che non tollera chi sbaglia c’è bisogno di perdono”

Papa Francesco domani 8 marzo si recherà in una parrocchia romana per presiedere la celebrazione di "24 ore per il Signore". Don Spinelli, missionario della misericordia: "Poter sbagliare, in un mondo che non tollera più chi sbaglia, e poter essere riaccolti è l’opportunità che offre il confessionale".

Per il secondo anno consecutivo, Papa Francesco si recherà domani in una parrocchia romana – San Pio V all’Aurelio – per presiedere “24 ore per il Signore”, l’ormai tradizionale iniziativa quaresimale di preghiera e riconciliazione voluta dal Santo Padre e promossa dal Dicastero per l’evangelizzazione, che ogni anno si celebra nelle diocesi di tutto il mondo alla vigilia della quarta domenica di Quaresima. Il motto scelto per questa undicesima edizione, che si terrà da venerdì 8 a sabato 9 marzo ed è inserita nell’Anno della preghiera in preparazione al Giubileo del 2025, è tratta dal capitolo 6 della Lettera ai Romani: “Camminare in una vita nuova”. In preparazione alla Pasqua, nella serata di venerdì e in tutta la giornata di sabato, si propone alle comunità ecclesiali di prevedere un’apertura straordinaria delle chiese, in modo da offrire ai fedeli l’occasione di sostare in qualsiasi momento in adorazione e l’opportunità di confessarsi.  Durante la celebrazione a San Pio V ci sarà la possibilità, per tutti i fedeli che lo desiderano, di ricevere il sacramento della riconciliazione, e anche Papa Francesco ascolterà le confessioni di alcuni penitenti. Della centralità della misericordia per il cristiano, sottolineata dal Papa con l’indizione del Giubileo straordinario del 2016, con i “Venerdì della misericordia e con l’invio di 1.142 “Missionari della misericordia” in tutto il mondo, abbiamo parlato con don Francesco Spinelli, parroco a Volterra e vicario episcopale per il Coordinamento della pastorale diocesana, che ha vissuto in prima persona questa esperienza.

I missionari della misericordia sono stati “ambasciatori” del Papa durante il Giubileo del 2016 ma continuano periodicamente ad incontrarsi ancora oggi. Che significato ha il loro compito pastorale?

I missionari della misericordia sono un segno eloquente del bisogno che le persone hanno di misericordia, di perdono, ma soprattutto dell’effusione della misericordia che Dio dà da sempre ad ogni uomo. Come ci ripete spesso il Santo Padre, Dio non si stanca mai di perdonarci, e il mondo ha tanto bisogno di perdono.

Il momento in cui è più evidente l’azione dei missionari della misericordia è quello in cui agiscono quando nessuno li vede, cioè nell’amministrare il sacramento della Confessione.

Come ci insegna Papa Francesco, riconoscersi bisognosi di misericordia è il primo passo del cammino cristiano. C’è la consapevolezza di essere “peccatori perdonati”, in quello che Bergoglio chiama il “santo popolo fedele di Dio”?

Viviamo in un mondo in cui nessuno può più sbagliare. L’errore non è mai concesso: fin dai banchi di scuola, quando i bambini sono esasperati dai voti, per arrivare poi alle relazioni, che non appena si fa un passo falso si rompono.

C’è un’ansia di prestazione per tutto, e di conseguenza un gran bisogno di un Dio che abbraccia e non giudica.

La Confessione dovrebbe essere un momento in cui non si viene giudicati, perché Dio non giudica, ma accoglie. Poter sbagliare, in un mondo che non tollera più chi sbaglia, e poter essere riaccolti è l’opportunità che offre il confessionale.

La misericordia, come sappiamo dalla storia dei giubilei, ha anche un valore sociale: come ridare dignità, in questo Anno della preghiera, ai nostri fratelli e sorelle che vivono sotto le bombe o sono costretti a fuggire dai loro Paesi a causa della guerra, della fame e della miseria?

La preghiera è un’arma importante per il cristiano. Il Papa, con questo Anno della preghiera in preparazione al Giubileo, ha voluto ricordarci che, in un mondo in cui conta soltanto l’aspetto materiale, fisico e concreto, esiste la dimensione spirituale che dà un senso e un orizzonte a tutto ciò che facciamo. L’arma più forte del cristiano rimane la preghiera: non è tanto importante quello che faccio, ma quanto ci ho pregato sopra.

 

 

 

Altri articoli in Chiesa

Chiesa