Sinodo dei Vescovi. Mons. Castellucci (Cei): “Meno burocrazia, ascoltare il bisogno di Dio che c’è fuori alla Chiesa”

"Abbiamo l’occasione per ristabilire gli equilibri interni, risolvere le beghe tra di noi e poi uscire ad annunciare il Vangelo. Per farlo, però, è necessario mettere al primo posto il bisogno di Dio che c'è dovunque e su quello adattare anche le nostre strutture". Parla mons. Erio Castellucci, arcivescovo di Modena, vescovo di Carpi e presidente del Comitato nazionale del Cammino sinodale

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

“Ci aspettiamo che il Sinodo sulla Chiesa sinodale possa contribuire a scardinare alcune dinamiche interne. Le riforme richiedono una lunga prassi per essere attuate nelle comunità cristiane, affinché edifichino e non dividano. Ci attendiamo anche qualche indicazione in più sul ministero della presidenza delle comunità e la possibilità di una reale corresponsabilità dei laici. È un tema di tale valenza che non può essere affrontato solo nelle Chiese nazionali, ma deve avere un respiro universale”. Mons. Erio Castellucci, arcivescovo di Modena, vescovo di Carpi e presidente del Comitato nazionale del Cammino sinodale, in occasione dell’apertura della prima sessione del Sinodo dei Vescovi, che si tiene in Vaticano dal 4 al 29 ottobre.

Eccellenza, l’ascolto è stato al centro della fase preparatoria del Sinodo. E sarà anche un tratto distintivo dei lavori che vedranno presenti in Vaticano 464 partecipanti con 365 votanti?
Nel rapporto della Chiesa con la società e con la cultura dobbiamo avere uno stile di ascolto. Lo abbiamo sperimentato dall’inizio del Sinodo, il Papa ha insistito tanto sulla necessità di ascolto ricordando che la Chiesa è in “debito di ascolto”. Abbiamo attivato in tutte le Chiese locali delle prassi parzialmente nuove, ponendoci non tanto come coloro che devono dire qualcosa ma come coloro devono stare a sentire ciò che gli altri hanno da dire. Soltanto dopo si può annunciare Gesù Cristo in una realtà che in qualche modo presenta dei punti di aggancio, perché

uno dei grandi rischi che questo Sinodo generale vuole evitare è di impacchettare delle dottrine che poi dovrebbero essere assimilate.

Ma lo stile di Gesù è stato quello di innestarsi nella realtà quotidiana del mondo, di annunciare il Signore nelle attese e nelle sofferenze della gente.

Parlando all’Assemblea nazionale dei referenti diocesani del Cammino sinodale della Chiesa italiana, Lei ha ribadito la necessità di “adottare uno stile nuovo di essere Chiesa per la missione”. È anche la priorità del Sinodo dei Vescovi?
Papa Francesco ha messo al primo posto l’annuncio e la missione, ispirandosi all’esortazione apostolica Evangelii Nuntiandi di Paolo VI. Nella Evangelii Gaudium, infatti, ha ribadito che la preoccupazione della Chiesa non deve essere la struttura interna ma l’attesa del mondo: “Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze”.

Troppo spesso ci chiudiamo in burocrazie e in meccanismi che riteniamo essere importanti ma che, in realtà, ci impediscono di ascoltare il bisogno di Dio che c’è fuori.

È sempre il Santo Padre a ricordarcelo: “Penso ai momenti in cui Gesù bussa dall’interno per lasciarlo uscire. La Chiesa autoreferenziale pretende di tenere Cristo dentro di sé e non lo fa uscire”. Non dobbiamo sprecare tempo, energie e passione. Abbiamo l’occasione per ristabilire gli equilibri interni, risolvere le beghe tra di noi e poi uscire ad annunciare il Vangelo. Per farlo, però, è necessario mettere al primo posto il bisogno di Dio che c’è dovunque e su quello adattare anche le nostre strutture.

La partecipazione del popolo di Dio è stata il punto di partenza del Sinodo, con una consultazione universale. È una novità rispetto al passato?
È una differenza significativa. Il Papa ha messo la Chiesa in ascolto di tutti, non soltanto dei battezzati ma di chiunque volesse dire qualcosa. Circa 20 milioni di persone hanno risposto nel primo anno. Questo grande movimento di popolo ha suscitato tante attese e qualche critica. Ma le molte speranze non potranno andare deluse. Il metodo scelto per il Sinodo, la discussione in piccoli gruppi e la conversazione nello Spirito, consentirà di parlare a una misura umana. Ciascuno sarà libero di esprimersi. Se la conversazione nello Spirito diventerà un metodo ecclesiale, sarà già un risultato del Sinodo.

È preoccupato dalle divergenze che potranno emergere durante i lavori?
Grazie a Dio ci saranno opinioni diverse: non siamo un esercito schierato sotto dittatura. Ben vengano i punti di vista e le proposte alternative, ma se ci lasciamo davvero guidare dallo Spirito sarà un confronto orientato a trovare delle sintesi e non ad affermare la propria posizione. Ci saranno le votazioni, ma

si cercherà soprattutto di far maturare il consenso, anche se questo richiede più tempo.

La votazione è molto semplice, ciascuno espone la propria opinione e si trova la maggioranza. La maturazione del consenso è più complessa, richiede tempo, prevede di ritornare sulle questioni, di limare le posizioni. Lo Spirito Santo avrà molto lavoro da fare.

In contemporanea con il Sinodo dei Vescovi, che si concluderà a ottobre 2024, prosegue il Cammino sinodale della Chiesa italiana. A che punto si è arrivati?
Il primo anno è stato plasmato sul cammino del Sinodo dei Vescovi: si sono adottate le stesse domande e gli stessi ritmi. I risultati sono stati consegnati alla Segreteria generale del Sinodo dei Vescovi. Nel secondo anno è continuato l'”ascolto narrativo” che ha permesso di individuare cinque priorità: la missione secondo lo stile di prossimità, la formazione alla fede e alla vita, il linguaggio e la comunicazione, la sinodalità e la corresponsabilità, il cambiamento delle strutture. Queste stanno animando il terzo anno, appena aperto, dedicato alla cosiddetta “fase sapienziale” (del discernimento). Il primato è sempre alla missione, per non perderci nell’autoreferenzialità.

È un processo interno alla Chiesa in Italia o ha uno sguardo che si allarga al mondo?
Ci sono questioni sentite dalla Chiesa universale, altre specifiche della Chiesa in Italia. Penso al tema delle strutture: non è certamente l’argomento che assilla le giovani Chiese africane o latino-americane, ma è un tema che riguarda le nostre comunità. Alcune strutture non si possono riconvertire facilmente, in termini di essenzialità.

Dunque ci sono alcune tematiche particolari, ma il nostro Cammino si innesta perfettamente in quello generale. Siamo convinti che dal Sinodo universale potranno venire indicazioni relative alla vita interna della Chiesa e allo stile di ascolto del mondo, che faranno bene anche alla Chiesa in Italia e potranno essere tradotte in orientamenti o normative.

Che riscontro ha avuto questa prima fase?
Circa mezzo milione di persone hanno preso parte attivamente, altre si sono interessate o incuriosite. Il Cammino sinodale è stato citato anche al di fuori degli ambienti ecclesiali. Le diocesi hanno promosso incontri con le categorie professionali, gli amministratori locali, le persone emarginate. Dobbiamo crescere nello stile della prossimità, in cui ci si ascolta. Senza la pretesa di mettersi in cattedra, ma con il desiderio di un dialogo reciproco. Dove questo è stato fatto, il riscontro è sempre stato positivo. Persone lontane dalla pratica cristiana riconoscono alla Chiesa la bellezza di creare momenti di ascolto. Da qui può nascere una stagione nuova.

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