Settimana sociale 2024. Granata (vicepresidente Comitato): “Vogliamo guardare gli elementi di risveglio, novità e innovazione presenti in Italia”

“Attorno all’appuntamento vogliamo tirare fuori, far emergere – non soltanto in termini di conoscenza ma anche di rete – tutte quelle esperienze che di solito non si raccontano e che ci spiegano gli infiniti modi in cui le persone si prendono cura del mondo, partecipano”, spiega Elena Granata, vicepresidente del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane sociali, precisando che “ci interessa di più andare a vedere cosa sta nascendo che quello che rimpiangiamo nel passato”. A Trieste un “laboratorio di partecipazione”

(Foto Settimane sociali)

“Quello che caratterizzerà la 50ª Settimana sociale sarà un metodo partecipato, con tantissimo racconto di buone pratiche, scambio di esperienze, produzione di pensiero: si potrebbe dire un laboratorio di partecipazione”. Così Elena Granata, vicepresidente del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane sociali dei cattolici italiani, commenta al Sir i contenuti del Documento preparatorio all’evento che si terrà a Trieste dal 3 al 7 luglio 2024. Il testo, diffuso oggi, si intitola “Al cuore della Democrazia. Partecipare tra storia e futuro”, tema al centro della kermesse.

Quando lo avete concepito che obiettivo vi siete dati?
Innanzitutto quello di una lettura dell’Italia oggi. Tutte le interpretazioni sul nostro Paese raccontano un’“Italia senza”: senza i figli nella famiglia, senza i medici negli ospedali, senza lavoro, senza diritti, senza tutele, senza integrazione delle donne… E questi “senza” pesano molto, perché ovviamente sono reali. Ecco, noi vogliamo provare a raccontare un’“Italia con”: con energie, con attivismo, con l’inventiva, con imprese civili… Quindi è una questione di come guardiamo l’Italia oggi. Noi la vogliamo guardare leggendo soprattutto gli elementi di risveglio, di novità, di innovazione. E, poi, c’è un secondo obiettivo…

Quale?
In realtà è simile al primo. Perché abbiamo scelto di andare “Al cuore della democrazia” e quindi lavorare sul tema della partecipazione. Potremmo cominciare a dire che non c’è più partecipazione, c’è disaffezione al voto, che i giovani non partecipano alla vita politica. Oppure, possiamo provare a dire che la partecipazione oggi avviene in forme molto diverse dal passato, molto più diffuse e distribuite sul territorio. E, spesso, siamo noi a non vederle. Perché c’è una nuova generazione di attivisti, per esempio sul fronte ambientale con la generazione Greta. Ma c’è anche l’attivismo sui territori, c’è partecipazione nel mondo dell’impresa, di quello cooperativo, sindacale, dell’impresa civile. E c’è partecipazione intorno ai luoghi, alle comunità, come nel caso delle comunità energetiche. E, ancora, c’è l’attivismo nel recupero, nella rigenerazione. Ecco allora, la logica da seguire è quella che

ci interessa di più andare a vedere cosa sta nascendo che quello che rimpiangiamo nel passato.

Un atteggiamento, questo, che sta accompagnando la riflessione della Chiesa italiana da diversi anni e su più fronti, anche nell’ambito delle Settimane sociali con l’individuazione e la condivisione delle buone pratiche…
La 50ª edizione è sicuramente figlia di Taranto, dove sul tema ambientale, quindi sulla sull’onda della Laudato si’, si sono messi in luce tanto attivismo e buone pratiche nel campo ambientale.

Attorno all’appuntamento di Trieste vogliamo tirare fuori, far emergere – non soltanto in termini di conoscenza ma anche di rete – tutte quelle esperienze che di solito non si raccontano e che ci spiegano gli infiniti modi in cui le persone si prendono cura del mondo, partecipano.

Realtà che non vengono di solito osservate, perché forse sono nuove e quindi abbiamo bisogno di strumenti di lettura diversi da quelli utilizzati finora.

Tra le novità che saranno introdotte a Trieste c’è appunto quella dei “Laboratori di partecipazione”.
A Trieste i lavori non saranno organizzati soltanto per grandi comunicazioni, anzi queste verranno ridotte al minimo. Perché la maggior parte dei lavori sarà nelle piazze, in laboratorio, con confronti e messa insieme di buone esperienze. Anche perché

sarebbe assurdo parlare di partecipazione senza cimentarsi a farla.

Sarebbe incongruo proporre un contenuto e non farlo diventare attivo. Il che non è scontato: è molto difficile, bisogna essere coraggiosi e bisogna avere una grande voglia di innovazione perché non è facile partecipare in un Paese che ha un po’ dimenticato come si fa. Siamo un po’ arrugginiti, ma abbiamo un anno per arrivarci e farci le ossa.

Un’altra innovazione è quella della denominazione. Quella di Trieste sarà infatti la Settimana sociale dei cattolici in Italia, locuzione che sostituisce l’aggettivo “italiani”…
Lo trovo bellissimo perché è un esempio di tentativo di aprire le porte, di capire che oggi gli italiani hanno lingue diverse, hanno approcci diversi, hanno culture di partenza diverse. Quindi

è una Settimana che vuole essere inclusiva, dei tanti modi di essere cattolici e delle tante provenienze, molto aperta agli stranieri che vivono in Italia, che non sono stranieri ma sono nuovi cittadini.

Questo suggerimento ci è venuto dal nostro presidente, mons. Luigi Renna, che da Catania ha la prospettiva del Mediterraneo e vede che le comunità migranti che oggi vivono sul nostro territorio producono spesso innovazione, mutuo soccorso, cooperazione più della componente italiana storica e quindi basta aprire gli occhi per vedere in realtà quanto sia ricca oggi la Chiesa nelle sue espressioni. Ma se abbiamo cambiato il nome, adesso dobbiamo cambiare atteggiamento: serve un po’ più di creatività e di cuore aperto. Perché non basta il nome.

Nel Documento preparatorio avete scritto che “la 50ª Settimana sociale è pensata non come un evento, ma come un processo”. Ed è indicata anche la fase di “Generazione” che seguirà i giorni di Trieste…
In generale, partiamo da questo deficit: si fanno tante cose belle e iniziative sui territori, ma non diventano politiche, non diventano politica. Allora

se questa occasione di incontro, di preparazione, di confronto, di messa in rete delle esperienze, fosse finalizzata solo ad un convegno allora butteremmo via la gran parte del lavoro.

E invece la finalizzazione è Trieste come punto di arrivo e di ripartenza, perché oggi se abbiamo ancora a cuore le sorti del Paese, dobbiamo essere in grado di partire da queste esperienze particolari sui territori facendole crescere. Pensiamo a quante situazioni sono nate negli anni della pandemia, quante associazioni nei quartieri per dare il cibo, per distribuire la sanità… Però rischiamo di dissiparle.

Oggi lo spreco più grosso che possiamo fare è uno spreco relazionale, di innovazione, di comunione.

Sarebbe colpevole non riuscire a portare queste realtà a Trieste, conoscerci e poi da lì ripartire con degli appuntamenti successivi che su temi sfidanti quali la povertà, le donne, i giovani, la pace, la cooperazione, il sindacato, la finanza diano vita a laboratori veri di partecipazione. È una “mission impossible”, però a noi piacciono le sfide.

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