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Tutela dei minori: servizi in tutte le diocesi, segnalati 89 casi di presunti abusi in due anni

Presentato a Roma il primo Report nazionale sulla tutela dei minori nelle diocesi italiane. Mons. Baturi: "Negli ultimi vent’anni sono pervenuti al Dicastero per la Dottrina della Fede 613 fascicoli dalle diocesi”. Mons. Ghizzoni: "è ora che i panni sporchi non si lavino più in famiglia"

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

Nel biennio 2020-2021, i casi di abusi segnalati, anche per fatti riferiti al passato, riguardano 89 persone, di cui 61 nella fascia di età 10-18 anni, 16 over 18 anni (adulto vulnerabile) e 12 under 10 anni. È quanto risulta dal primo Report nazionale della Cei sulla tutela dei minori nelle diocesi italiane, presentato oggi a Roma. “Negli ultimi vent’anni sono pervenuti al Dicastero per la Dottrina della Fede 613 fascicoli dalle diocesi”, ha reso noto inoltre mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei, rispondendo alle domande dei giornalisti. “Su questi dati – ha annunciato Baturi riferendosi alle cosiddette ‘ponenze’ relative alle denunce di presunti abusi che giacciono sul tavolo dell’ex Sant’Uffizio – la Chiesa italiana farà un’indagine che sarà la prima al mondo di questo genere”.

I casi segnalati. Il Report odierno, che diventerà annuale, contiene anche il profilo dei 68 presunti autori di reato: si tratta di soggetti di età compresa tra i 40 e i 60 anni all’epoca dei fatti, in oltre la metà dei casi. Il ruolo ecclesiale ricoperto al momento dei fatti è quello di chierici (30), a seguire di laici (23), infine di religiosi (15). Tra i laici emergono i ruoli di insegnante di religione; sagrestano; animatore di oratorio o grest; catechista; responsabile di associazione. Il contesto nel quale i presunti reati sono avvenuti è quasi esclusivamente un luogo fisico (94,4%), in prevalenza in ambito parrocchiale (33,3%) o nella sede di un movimento o di una associazione (21,4%) o in una casa di formazione o seminario (11,9%).

I Centri di ascolto. La maggior parte delle diocesi ha attivato un Centro di ascolto (70,8%), in particolare nelle diocesi di grandi dimensioni (84,8%). Nel Report, sono stati rilevati dati relativi a 90 Centri di ascolto: di questi 21 attivati nel 2019 o prima, 30 nel 2020, 29 nel 2021 e 10 nel 2022. L’attivazione dei Centri di ascolto è strettamente correlata alla dimensione delle diocesi, con 38 Centri costituiti in diocesi di grandi dimensioni o diocesi che si sono aggregate. La sede del Centro di ascolto differisce dalla sede della Curia diocesana nel 74,4% dei casi. Il responsabile del Centro, in oltre due terzi dei casi, è un laico o una laica (77,8%). Meno frequente è la scelta di un sacerdote (15,5%), oppure un religioso o una religiosa (6,7%). Tra i laici prevalgono nettamente le donne, che quindi rappresentano i due terzi dei responsabili. Nella maggior parte dei casi (83,3%), i Centri di ascolto sono supportati da una équipe di esperti. Nel biennio in esame il totale dei contatti registrati da 30 Centri di ascolto è stato pari a 86, di cui 38 contatti nel 2020 e 48 nel 2021. Il genere delle persone che hanno contattato il Centro rivela una maggiore rappresentazione delle donne (54,7%).

I Servizi per la tutela dei minori. Tutte le 226 diocesi italiane hanno attivato un Servizio diocesano per la tutela dei minori (Sdtm). Il Report, infatti, ha raccolto 158 risposte su 166 diocesi coinvolte: 8 servizi sono a carattere interdiocesano. La rappresentatività statistica del campione di indagine è pari al 73,4%. Le diocesi del campione sono soprattutto di medie dimensioni (tra 100 e 250mila abitanti), seguite dalle diocesi di grandi (oltre 250mila) e piccole dimensioni (fino a 100mila). Il referente, nella maggior parte dei casi, è un sacerdote (51,3%), seguito da laico o laica (42,4%) e solo raramente un religioso o una religiosa (6,3%). Le diocesi di piccole dimensioni invece si distinguono in quanto a ricoprire il ruolo di referente, in oltre la metà dei casi, è un laico/a (56%), mentre negli altri casi un sacerdote. Il 77,2% delle diocesi censite ha una équipe di esperti a sostegno del Servizio, le cui principali attività consistono in incontri e corsi formativi.

La formazione. Il numero di incontri formativi proposti nel biennio in esame (2020-2021) è cresciuto notevolmente, passando dai 272 incontri del 2020 ai 428 del 2021. In crescita il trend: da 7.706 nel 2020 a 12.211 nel 2021, con l’aumento più alto per gli operatori pastorali, passati da 3.268 a 5.760. E sul versante della prevenzione e del contrasto alla pedofilia , il Consiglio nazionale della Scuola Cattolica – ha appena pubblicato le Linee-guida per la tutela dei minori nelle scuole cattoliche. La Cei, inoltre – ha ricordato mons. Baturi – è stata inviata far parte come membro permanente dell’Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile, e il 28 ottobre scorso è stato firmato un apposito protocollo tra la Cei e la Santa Sede, tramite i cardinali O’ Malley e Zuppi.

“È ora che i panni sporchi non si lavino più in famiglia. Noi dobbiamo farlo come Chiesa, ma in tutti gli ambiti della società civile deve crescere questa consapevolezza. Bisogna imparare a dire e a denunciare, non bisogna passarci sopra”.

È l’appello di mons. Lorenzo Ghizzoni, responsabile del Servizio nazionale della Cei per la Tutela dei minori e delle persone vulnerabili. Rispondendo alle domande dei giornalisti, Ghizzoni ha ricordato che “il 93% dei casi di abusi avvengono in famiglia, o in ambito familiare o nel ‘circolo della fiducia’ che si crea negli ambienti che frequentano i minori”. Negli ultimi anni, ha fatto notare l’esperto, è cambiata in positivo la percezione della gravità degli abusi: “C’è una coscienza diversa riguardo alle vittime: il vero cambiamento, come Chiesa, è avvenuto proprio quando noi abbiamo cominciata a metterci nei panni delle vittime”. Secondo Ghizzoni, “questo è avvenuto anche a livello sociale e culturale: del resto, il reato di pedofilia è entrato nel diritto italiano alla fine degli Anni Novanta. C’è una presa di coscienza specifica – ma non è ancora abbastanza – del problema degli abusi. Stiamo uscendo dall’idea che i panni sporchi si lavano in famiglia”.

 

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