Il silenzio del Sabato Santo: una via nell’abisso

Solo avendo assaporato fino in fondo la kenosis e aver creato una comunione solidale con tutti, proprio tutti, solo allora portando tutti, proprio tutti, Egli può lasciare vuoto lo Sheol e salire vittorioso al Padre

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

Egli, il Figlio, il Messia d’Israele, è morto crocifisso, ha compiuto la kenosis: è diventato e si è dimostrato impotente. Garanzia di salvezza per tutti.
Gesù Cristo ha già sperimentato l’abbandono del Padre, ora compie un altro gesto, impensabile e incomprensibile: discende negli inferi. L’impotenza raggiunge il suo vertice, proprio per questo però assume anche il vertice del potere liberante non per qualcuno o qualcuna ma per tutti.
Nello spogliamento totale.

La riflessione dei Padri della Chiesa ci ha posto dinnanzi la visione orientale: Egli, il Messia, da cadavere insanguinato con i segni della crocifissione, si palesa come Colui che ha vinto e frantuma le porte degli inferi, libera i prigionieri che ormai potranno godere della vita eterna.

La Chiesa latina presenta un’altra sensibilità dinnanzi a questo travolgente mistero: Egli è morto fra i morti.
Il silenzio avvolge queste ore drammatiche, tenebrose, che fanno trasparire tutto lo sconforto dei discepoli, delle pie donne e il dolore lancinante ma fermo nella fede della Sua parola della Madre, Maria. Tutto si scioglierà quando, rotolata la pietra, il sepolcro vuoto diventerà l’Anastasis, il luogo della Risurrezione.
Per ora, di sabato, tutto tace, nulla avviene per quanto si possa percepire.
Il mistero però ha compiuto il suo corso.
Egli, sceso nello Sheol, dove vita non esiste, paradossalmente dona la vita.
Vi regnava l’assenza della speranza, Egli il crocifisso morto la dona e la estende universalmente.

Solo allora si apre la porta dei cieli.

Hans Urs von Balthasar e Adrienne von Speyr, insieme ma diversamente, hanno illuminato questo silenzio apparentemente impenetrabile e ingiustificabile.

Il morto crocifisso espande la dilatazione della speranza perché, scendendo nello Sheol, assume su di sé tutto il passato in quello che definiscono il subabbraccio: Egli lo prende da sotto, tutto intero, da tutti i secoli e per tutti i secoli a venire in una sostituzione vicaria.
Scatta allora la grande speranza, solo smarrita non perduta e ora donata per sempre.
La derelizione patita da Gesù sulla Croce trova il suo pieno splendore di luce.
Dal vuoto scaturisce una sorgente zampillante che irrorerà il passato, il presente e anche il futuro.
Tutti ne siamo bagnati e intrisi, posto che lo si voglia, si accetti cioè di scoprire la propria kenosis e la si incarni, non tanto per salvare noi stessi (o solo noi stessi) quanto in un’apertura totale, di raggio universale che tutti sfiora e tutti raccoglie.

Si passa così dalla storia, dalla nostra personale storia alla vita eterna, a quel banchetto in cui risplende la vita immortale.

Egli è stato solidale in una modalità per noi creature di terra impensabile e improponibile: dare la vita che non avrà mai fine, passando e raccogliendo in sé la morte di tutti e di ciascuno.

Non computo o censimento ma flusso di grazia, dono che investe e trasfigura:

Io ero morto (nekrós), ma ecco ora vivo per i secoli dei secoli ed ho le chiavi della morte e del mondo sotterraneo (Ap 1,18).

Morto cioè necrotico.
Gregorio Magno lo aveva percepito:

Cristo è disceso fino alle ultime profondità del mare, quando scese all’inferno più profondo, per liberare da esso le anime dei suoi eletti. Prima della redenzione la profondità del mare non era una via, ma un carcere… ma Dio ha fatto di questo abisso una via….

Solo avendo assaporato fino in fondo la kenosis e aver creato una comunione solidale con tutti, proprio tutti, solo allora portando tutti, proprio tutti, Egli può lasciare vuoto lo Sheol e salire vittorioso al Padre.

Altri articoli in Chiesa

Chiesa