Ognissanti. Don Patriciello: “Passa tutto, quello che conta è fare ogni cosa per amore”

“Il comandamento più grande valeva nel passato come vale oggi, per i grandi peccatori e per i grandi santi”, osserva il parroco di Caivano

Foto ANSA/SIR

“La santità oggi non è qualcosa di diverso da quella di ieri, l’altro ieri, fino ad arrivare a Nostro Signore. Nel tempo è cambiata la visione della vita, ma non è mutato il fulcro della santità, che si trova nel rapporto di amore con Nostro Signore.

Anche in una vita ‘ordinaria’ quello che conta è fare ogni cosa per amore”.

Di questo è convinto don Maurizio Patriciello, parroco di Caivano, che riflette con noi in occasione della festa di Ognissanti.

Nel tempo, osserva il sacerdote, “è cambiato il modo di rapportarsi alla penitenza. Alcune forme di penitenza vissute da santi, come il cilicio o la catena, oggi non sono più proponibili ai ragazzi: infatti, se la mia persona è un dono di Dio, questo corpo non può essere visto in modo negativo. Il Signore, insieme con il necessario, ci ha donato anche altro che ci dona gioia, come la convivialità a tavola con gli amici e il buon cibo. Ma basta poco per rompere questo equilibrio: il cibo da sano nutrimento può trasformarsi in malattia; mentre in tante parti del mondo i bambini muoiono di fame, in Occidente c’è il problema opposto dell’obesità. È necessario un equilibrio tra le varie componenti della nostra personalità: quando si accentua troppo un solo aspetto di noi, materiale, intellettuale e anche spirituale, si commette un errore”. Si tratta, dunque, “davvero di fare dell’uomo un’opera d’arte. Oggi si parla tanto di educazione sessuale nelle scuole, ma troppo poco di educazione all’amore. Anche la sessualità è un dono di Dio, ma dobbiamo farla rientrare in una dimensione totale della personalità umana che si esprime con la parola, con gli scritti, con l’arte, con la musica, con la pittura e con l’amore. La cosa bella è che mentre alcuni linguaggi, alcuni talenti sono dati solo a qualcuno – basti pensare alla scienza, alla musica -, il linguaggio dell’amore, quello più importante, è dato a tutti: sa amare l’analfabeta, la donna africana che sta morendo di fare, la professionista, lo scienziato, il filosofo, il teologo. Non a caso, la definizione di Dio è amore, cioè è un Dio alla portata di tutti”.

Don Patriciello ribadisce: “La santità è sempre la stessa, ieri si accentuava di più l’aspetto penitenziale, della rinuncia, oggi questo dai giovani viene compreso meno, forse sarà possibile con l’avanzare dell’età, ma tutto si gioca sempre alla luce dell’amore. Se oggi rinuncio a comprarmi un abito bello, non lo faccio per mettermi i soldi in banca, ma per donarli a qualcuno che ha più bisogno. Così la verginità dei consacrati è un dono, un’offerta per dire al Signore e ai fratelli: ‘Ti amo e vi amo’. In questa luce niente è piccolo: ecco il grande valore dell’obolo della vedova”. Questo, aggiunge, “avviene con qualche centesimo, che però è il tutto di qualcuno, ma anche con la preghiera: pensiamo alle nostre vecchiette che vengono a pregare in chiesa. Una volta una di loro mi ha detto: ‘Quando sento qualcuno bestemmiare è come se avesse fatto un graffio a Gesù. Allora mi metto a pregare e sento che la mia preghiera è come un batuffolo di ovatta imbevuto di alcol che Gli porta un poco di sollievo’. Mi ha fatto pensare alla teologia della riparazione, che la vecchietta aveva capito a modo suo”.

In un mondo sempre più secolarizzato, in cui la scienza sembra voler dire sempre l’ultima parola, non è semplice vivere la chiamata alla santità. “Innanzitutto, dobbiamo smetterla di dividere il mondo in fronti contrapposti. Se noi riusciamo a scoprire o a fare cose eccezionali, è perché abbiamo una mente eccezionale che non ci siamo dati da soli. La scienza di per sé è neutra, è sempre lo scienziato, l’uomo che decide, poi, se, per esempio, il nucleare è un bene realizzarlo o un male da accantonare. La scelta deve essere guidata dall’amore per l’umanità.

Perché la scienza è un bene nel momento in cui si pone a servizio dell’uomo.

Dobbiamo essere capaci di parlare di tutto ciò con i nostri ragazzi”.

Secondo don Maurizio, “per non perderci nel mondo dobbiamo avere un punto fisso. In una poesia che ho dedicato al paese dove sono nato, l’ho definito ‘ombelico da cui misuro le distanze’. Anche noi cristiani, per ragionare, dobbiamo avere un punto fisso: prima dei santi, che sono anche figli dei loro tempi e dei luoghi dove sono vissuti, c’è Nostro Signore Gesù Cristo. Il Vangelo deve essere la fonte dove abbiamo fissato i nostri piedi. Qual è il più grande dei comandamenti?

Amare Dio e il prossimo. Questo comandamento valeva nel passato come vale oggi,

per i grandi peccatori e per i grandi santi”. Il parroco propone un riferimento autobiografico: “Molti mi considerano un ambientalista, ma io sono molto di più, sono un prete, allargo lo sguardo in questa ecologia integrale di cui parla il Papa. Bisogna allora salvare l’albero e le foreste perché servono all’uomo, anche gli animali meritano rispetto, ma c’è l’essere umano che è un capolavoro creato da Dio. Pensiamo al feto che cresce nel grembo della madre. Noi non vogliamo lasciare scarti, né degli animali, né degli uomini. Un conto è essere ambientalisti e basta, un altro è essere cristiani, pensando all’ambiente, al povero, all’immigrato, al bambino non nato e al vecchio sofferente alla fine della vita. Il comandamento è sempre lo stesso: ama Dio e ama il prossimo. La domanda oggi è: ma come amiamo il nostro prossimo oggi? Come dovrò amare il prossimo mio qui al Parco Verde di Caivano, dove il Signore mi ha messo? La domanda su come amare me la pongo io, se la pone lo scienziato credente, il fisico, il matematico, il teologo, la casalinga, la vecchietta che non sa leggere e scrivere ma con la corona in mano sta amando il prossimo, come lo amo io, in un altro modo, in chiesa durante la celebrazione eucaristica. Tutti stiamo amando”.

Il sacerdote ci offre ancora un esempio: “Se pensiamo ai pastorelli di Fatima, due dei quali, Francesco e Giacinta, sono già santi, eppure sono morti da piccoli, a Santa Teresina del Bambin Gesù, morta a 24 anni dopo 9 anni di clausura, oppure a san Giuseppe Moscati, medico e scienziato. Se mettiamo a confronto i primi rispetto al medico santo che ha operato tanto bene potrebbe sembrare che non hanno fatto niente, ma questo non vale agli occhi di Dio, nella cui bilancia quello che facciamo non viene pesato come faremmo noi. Ogni persona ha un valore immenso, quando è già nata, prima di nascere nel grembo della mamma, fino a quando la vita va lentamente spegnendosi. Anche il più grande scienziato, il più grande uomo, alla fine della vita, ha bisogno di aiuto e di una carezza”. Cosa resta?

“Passano la bellezza e la salute, passa tutto, resta solo l’amore. Dio è amore e tutto ciò che è amore non viene perduto e diviene santità”, conclude don Patriciello.

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