San Giuseppe: padre Sapienza, “l’ombra di Dio”

Nell'anno speciale dedicato da Papa Francesco a San Giuseppe, padre Sapienza offre nel suo ultimo volume un sussidio sul ritratto che Paolo VI fa del padre putativo di Gesù, attraverso suoi discorsi

“Tutti possiamo professare, cioè difendere il nome cristiano nella nostra casa e nell’esercizio del nostro lavoro. La missione di San Giuseppe diventa la nostra: custodire e fare crescere Cristo in noi e d’intorno a noi”. Con queste parole Paolo VI, durante l’Angelus del 19 marzo 1978, riassumeva la portata paradigmatica di San Giuseppe per la vita e la testimonianza cristiana. Nell’anno speciale che Papa Francesco ha voluto dedicare al padre putativo di Gesù, padre Leonardo Sapienza, nel volume “L’ombra di Dio. San Giuseppe nei discorsi di Paolo VI” (Edizioni Viverein), compone un mosaico che si offre come sussidio per entrare fin nelle pieghe più profonde del santo più silenzioso del Vangelo, eppure profondamente radicato nella religiosità popolare, tanto da essere venerato – oltre che come patrono della Chiesa universale – come protettore dei lavoratori, delle vergini, dei fidanzati, delle famiglie, dei fanciulli, dei profughi, dei poveri, dei morenti. “Aggiungiamo pure protettore d’ogni cristiano”, sottolinea Papa Montini in occasione dell’Angelus del 19 marzo 1975.

“Il fabbro silenzioso e laborioso, che diede a Gesù non solo i natali, ma lo stato civile, la categoria sociale, la condizione economica, l’esperienza professionale, l’ambiente familiare, l’educazione umana”,

il ritratto dello sposo di Maria tratteggiato nell’omelia della Messa per il pellegrinaggio degli operai della Fiat, il 19 marzo 1864. Ma c’è di più: “la missione, che San Giuseppe esercita nella scena evangelica, non è solo quella della figura personalmente esemplare e ideale; è una missione che si esercita accanto, anzi sopra Gesù, sarà il suo protettore, il suo difensore. Per questo la Chiesa, che altro non è se non il Corpo mistico di Cristo, ha dichiarato San Giuseppe protettore suo proprio, e come tale oggi lo venera”. Il Vangelo, fa notare Paolo VI il 1° maggio 1964 rivolgendosi ai lavoratori, “si apre alla prima pagina con il muto linguaggio di San Giuseppe, custode, quasi portinaio del regno di Dio, recato al mondo da Cristo Signore; è lui che vi dice; si entra di qui, l’ingresso è la vita umile, forte, sacra del lavoro”.  E poi l’umiltà, cifra per eccellenza della sua testimonianza:

“Che cosa di più umile, di più semplice, di più silenzioso, di più nascosto ci poteva offrire il Vangelo da mettere accanto a Maria e a Gesù?”,

l’interrogativo al centro dell’omelia del  19 marzo 1965: “La figura di Giuseppe è proprio delineata nei tratti della modestia la più popolare, la più comune, la più – si direbbe, usando il metro dei valori umani – insignificante, giacché non troviamo in lui alcun aspetto che ci possa dare ragione della sua reale grandezza e della straordinaria missione che la Provvidenza gli ha affidato. Guardando nello specchio del racconto evangelico, Giuseppe ci si presenta con i tratti più salienti di estrema umiltà: un modesto e povero, oscuro, piccolo, primitivo operaio che nulla ha di singolare, che non lascia, nel Vangelo stesso, verun accenno della sua voce. Nessuna parola di lui ci è ricordata: vi si parla unicamente del suo contegno, della sua condotta, di quanto ha fatto: E tutto in silenzioso nascondimento e in obbedienza perfetta”. Ed è proprio la sua umiltà, osserva Papa Montini, ad attrarci e a rendercelo familiare: “Come ci pare fraterna, e, si direbbe, vicina a tante nostre stature fragili, mediocri, trascurabili, peccatrici!”.

“Fiat voluntas tua” è il segreto della “grande vita”.

“E’ innestare se stessi sopra i pensieri del Signore ed entrare nei piani della sua onniveggenza e misericordia, ed anche della sua magnanimità”, il tema dell’omelia de 19 marzo 1868, dedicata all’obbedienza di San Giuseppe: “Se vogliamo essere veramente in Dio e partecipare al Regno dei celi, questo punto di raccordo fra la volontà nostra e quella di Dio deve essere assolutamente studiato, specie negli anni, nei giorni, nei momenti in cui la nostra vita sceglie il suo stato, la sua direttiva, la sua méta. Ci si deve convincere, allora, che una voce dal cielo – interna o esterna, mediante alcune circostanze o la parola di qualche maestro – viene a farci conoscere l’interpretazione giusta ed elevata, che ognuno è obbligato a dare alla propria esistenza.

Nessuna vita è banale, meschina, trascurabile, dimenticata.

Per il fatto stesso che respiriamo e ci muoviamo nel mondo, siamo dei predestinati a qualcosa di grande”.

 

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