Balsamo per l’Iraq

Penso che saremo tutti con papa Francesco in questi giorni del suo straordinario viaggio apostolico in Iraq, col suo ridotto seguito, con i pochi giornalisti, in simbolica compagnia col “nostro” direttore editoriale dei media vaticani dr. Andrea Tornielli, che l’altra domenica, in una breve pausa nella sua città lagunare e nella sua parrocchia, mi confidava di essere venuto a pregare sulla tomba dei suoi cari prima di questo impegnativo viaggio. Un viaggio “apostolico” del tutto speciale, il primo di un papa in un Paese a maggioranza sciita, per incontrare la comunità cattolica così duramente provata e dispersa dalle inaudite violenze dell’Isis e per portare a tutte le popolazioni di ogni fede una parola di speranza in una possibile ricostruzione e pacificazione, in un Paese ancora mai pacificato dopo la caduta di Saddam Hussein nel 2003.

Penso che saremo tutti con papa Francesco in questi giorni del suo straordinario viaggio apostolico in Iraq, col suo ridotto seguito, con i pochi giornalisti, in simbolica compagnia col “nostro” direttore editoriale dei media vaticani dr. Andrea Tornielli, che l’altra domenica, in una breve pausa nella sua città lagunare e nella sua parrocchia, mi confidava di essere venuto a pregare sulla tomba dei suoi cari prima di questo impegnativo viaggio. Un viaggio “apostolico” del tutto speciale, il primo di un papa in un Paese a maggioranza sciita, per incontrare la comunità cattolica così duramente provata e dispersa dalle inaudite violenze dell’Isis e per portare a tutte le popolazioni di ogni fede una parola di speranza in una possibile ricostruzione e pacificazione, in un Paese ancora mai pacificato dopo la caduta di Saddam Hussein nel 2003. Il papa ha voluto strenuamente questo viaggio, nonostante i pericoli di ogni genere e nonostante la pandemia, come un segno di fraternità universale, come un abbraccio di consolazione, come un “balsamo di pace – sottolinea il card. Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali – sulle ferite dell’Iraq e dell’intero Medio Oriente”. Papa Francesco passerà tra le macerie provocate dalla follia politico-militare del Daesh; incontra a Najaf il Grande Ayatollah Sayyid Ali Al-Husayni Al-Sistani, il grande saggio dell’Islam sciita – come aveva incontrato ad Abu Dhabi il grande imam sunnita di Al-Azhar Ahmad Muhammad Ahmad al-Tayyib – auspicio di un ulteriore passo verso quella “fratellanza universale” imprescindibile, così ben delineata nella sua ultima enciclica; nel programma di papa Francesco, lo stesso sabato, anche un incontro interreligioso presso la piana di Ur dei Caldei, la “patria” di Abramo, del quale i credenti delle tre grandi religioni monoteistiche si riconoscono figli ed eredi. Notevole, per il dialogo ecumenico, oltre che interreligioso, la messa che il papa intende celebrare in rito caldeo, come segno di particolare benevolenza del pastore universale della Chiesa cattolica per quella Chiesa che ha tanto sofferto e soffre. E poi le visite e i discorsi a Mosul (l’ex-capitale dello Califfato Islamico), Erbil, Qaraqosh, nomi tristemente famosi per le distruzioni perpetrate fanaticamente e dove faticosamente si sta ricostruendo una vita civile e comunitaria. L’incontro, certo, con i vescovi, sacerdoti, religiosi, seminaristi e catechisti delle comunità cattoliche (ridotte purtroppo di numero, ma ancora più forti nella fede, anche grazie a questa visita), con l’omaggio ai martiri e con parole e gesti di consolazione e di rinnovata speranza. Saremo e siamo con papa Francesco che rilancia ovunque il suo messaggio di fratellanza, riconosciuto da tutti nella sua autorevolezza, ma che si vorrebbe seguito di più da ogni uomo e da ogni governante.

(*) direttore “Nuova Scintilla” (Chioggia)

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