Brescia zona arancione rafforzata. Mons. Tremolada: “Siamo stanchi ma fieri, la difesa della salute è il primo dovere”

"Dobbiamo incrementare il senso di responsabilità. Il primo controllo non è a livello delle forze dell'ordine, ma di ciascuno di noi. Va esercitato nel vissuto quotidiano: siamo noi cittadini che dobbiamo reciprocamente esercitare un controllo a partire dal senso di responsabilità". È l'appello del vescovo di Brescia all'indomani dell'ordinanza che inserisce la provincia di Brescia in "zona arancione rafforzata"

(Foto ANSA/SIR)

“È stato un tempo di grande sofferenza, in cui sono emerse le qualità di una città che si è dimostrata capace di affrontare l’emergenza. Ma in questo momento siamo stanchi e logorati. Ed è difficile resistere per il tempo che sarà necessario”. Mons. Pierantonio Tremolada risponde provato all’indomani dell’ordinanza della Regione Lombardia che inserisce la provincia di Brescia e alcuni comuni delle province di Bergamo e Cremona in una “zona arancione rafforzata” che prevede, oltre alle normali misure della zona arancione, anche la chiusura delle scuole d’infanzia, elementari e medie, il divieto di recarsi nelle seconde case, l’utilizzo dello smart working e la chiusura della attività in presenze.

Come ha accolto queste nuove restrizioni?

La difesa della salute è il primo dovere di coscienza. Prendere queste decisioni non è semplice, perché bisogna tenere conto delle conseguenze. Ma quando la situazione diventa critica, non vedo altre strade. Anche se ciò provoca ulteriori fatiche e sacrifici per tutti. Nella prima ondata abbiamo sofferto e abbiamo ancora vivo il ricordo dei nostri morti. Ora il rapporto tra contagi e decessi fortunatamente è inferiore, forse a causa della variante inglese, ma non possiamo farci trovare impreparati.

La macchina organizzativa non si è fatta trovare pronta di fronte a questa nuova ondata?

La guardia non è mai stata abbassata, né ci sono stati limiti nell’organizzazione.

Le istituzioni sono state attente. Credo piuttosto che il bisogno di normalità delle persone, benché ridotto ai minimi termini, abbia contribuito alla ripresa dei contagi.

Si è voluta anticipare la normale forma di vita, e per certi versi è comprensibile.

(Foto ANSA/SIR)

Di fronte alle tante scene di assembramenti cui si assiste quotidianamente in tutta Italia, c’è una responsabilità dei cittadini nei comportamenti per ridurre il rischio di contagio?

Dobbiamo incrementare il senso di responsabilità. Il primo controllo non è a livello delle forze dell’ordine, ma di ciascuno di noi. Va esercitato nel vissuto quotidiano: siamo noi cittadini che dobbiamo reciprocamente esercitare un controllo a partire dal senso di responsabilità. Se nella piazza vedo che ci sono persone che non osservano le regole, è opportuno che intervenga senza attendere un rappresentante della legge.

Rispettiamo le regole, perché ci salvano tutti.

Il mio comportamento ha conseguenze sugli altri. Non è questione di sensibilità, ma di coscienza.

Vuole fare un appello ai giovani?

Capiamo bene il bisogno di incontrarsi dei giovani, che sono quelli che fanno più fatica insieme agli anziani. Ma occorre avere pazienza, nel senso nobile del termine che richiama la capacità di resistere. Arriviamo stanchi, come gli ultimi chilometri della maratona. Le forze sono poche per tutti, le energie sono state spese e il desiderio di tornare alla normalità è tanto. Ma la responsabilità dei giovani deve essere più forte: devono rendersi conto che il sacrificio che gli è richiesto è di fondamentale importanza per difendere la salute di tutti.

(Foto ANSA/SIR)

È passato un anno dall’inizio dell’epidemia. Come è cambiata la città?

Brescia è la leonessa d’Italia. E lo ha dimostrato anche in questa circostanza: la nostra è gente fiera che sa affrontare le situazioni, non si lamenta facilmente, si spende senza dover ricevere applausi. La nostra gente ha un forte senso del dovere e lo vediamo ogni giorno. La raccolta fondi #aiutiaAMObrescia ha raccolto 18 milioni di euro in poco tempo. È un segno della solidarietà della città. Tante persone sono generose non soltanto dal punto di visto economico, ma anche di tempo e di energie. La città e la provincia hanno dato un bell’esempio di cooperazione, anche istituzionale.

La Chiesa bresciana è stata da subito in prima fila per affrontare l’emergenza sanitaria. E oggi?

Vogliamo essere vicini alle persone. Lo abbiamo fatto fin dall’inizio. Ho visitato tutti i nostri ospedali durante la prima ondata, ho incontrato il personale. Volevo manifestare la vicinanza della Chiesa, per dare sostegno ma anche per ringraziare. Ci siamo sentiti profondamente uniti.

Non abbiamo fatto mancare il necessario a chi da sempre è in difficoltà, garantendo i servizi ai più poveri. Siamo stati vicini alle famiglie e ai ragazzi. Abbiamo sperimentato i nuovi mezzi di comunicazione e, in particolare, i social media per sentirci comunità anche quando non potevamo riunirci in presenza.

Recentemente sono stato a fare visita alle realtà lavorative in grande sofferenza. Mi interrogo ogni giorno per trovare la strada migliore per alleviare la fatica del popolo che mi è affidato nel tempo che viviamo.

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