Se hai un debole per una statuina. Ho messo Giuseppe sulla capanna

È il personaggio del presepe che mi ispira più tenerezza di tutti. Mentre pastori e greggi e angeli e il bue e l’asinello riempiono di voci e di suoni la buia notte, rischiarata dalla luce della stella, lui, san Giuseppe, lo immagino sempre silente. Ascolta i vagiti del bambino, suo figlio, che piange avvoltolato nelle fasce, che è nato lontano da casa, in quel posto da niente, e lo guarda con gli occhi di un padre che già pensa: «sarò in grado di farlo crescere, di educarlo, di insegnargli a lavorare il legno?». Lo pensa e non parla. Anche Maria, del resto: una ragazzina, provata dalle doglie del parto, bella e gentile come solo la donna dei suoi sogni doveva essere.

(Foto Siciliani-Gennari/SIR)

È il personaggio del presepe che mi ispira più tenerezza di tutti. Mentre pastori e greggi e angeli e il bue e l’asinello riempiono di voci e di suoni la buia notte, rischiarata dalla luce della stella, lui, san Giuseppe, lo immagino sempre silente. Ascolta i vagiti del bambino, suo figlio, che piange avvoltolato nelle fasce, che è nato lontano da casa, in quel posto da niente, e lo guarda con gli occhi di un padre che già pensa: «sarò in grado di farlo crescere, di educarlo, di insegnargli a lavorare il legno?». Lo pensa e non parla. Anche Maria, del resto: una ragazzina, provata dalle doglie del parto, bella e gentile come solo la donna dei suoi sogni doveva essere. Maria che non apre bocca davanti ai pecorai che non hanno perso tempo e, pur in preda alla paura, hanno seguito l’invito dell’angelo, e lei se li ritrova lì, all’improvviso. Maria che, “da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore”. Avrà incrociato più volte gli occhi dello sposo, nella penombra della mangiatoia, in uno scambio dolcissimo di amore? Come a sussurrare: «Ce l’abbiamo fatta, è nato, vedi quante persone, meravigliose persone, incredule, sono venute ad adorarlo?». Giuseppe le avrà sorriso: «Siamo stati bravi. Tu sei stata forte. Veglierò su di voi». Poi avrà fatto qualche passo indietro, si sarà messo in un angolo, avrà preparato il fieno per i due animali, avrà provveduto a certe, umanissime, faccende. Mi piace descriverlo così, Giuseppe, già lontano dai riflettori, intento al benessere della sua famiglia, pacato, pragmatico, sicuro nei gesti, umile. E, soprattutto, coraggioso. Un marito e un papà che «passa inosservato», come ha detto il Papa quando, l’8 dicembre, ha indetto un anno speciale dedicato proprio a lui (ne parliamo a pagina 4). Campeggia nella scena centrale del nostro presepe, ma non è mai la prima statuina che sistemiamo all’interno della capanna. È santo e non è Dio. È emerso da un angolo dello scatolone e alfine ce lo siamo rigirati tra le mani, l’abbiamo spolverato, stando, anche quest’anno, dalla sua parte. Tu sai, vero, Giuseppe, che io ti capisco, che vorrei entrare là, nella grotta, mettermi al tuo fianco, come un vecchio amico, un affezionato cliente della falegnameria, e sentire il muschio sotto i piedi? Se una montagna accartocciata sarà fuori posto, se un angolo del cielo blu si sarà staccato dalla parete, prenderemo lo scotch dal cassetto e li ripareremo. Noi hai fatto altro, in fondo, nella tua vita che riparare i dubbi e le incomprensioni dei tuoi conoscenti. «Maria è incinta? E tu non lo sapevi?». «Non lo sapevo, ma lo sentivo col cuore», avrai risposto. E infine ti è stato rivelato. L’hai guardata veramente per la prima volta la tua donna e non hai fatto domande e non hai preteso spiegazioni e non te ne sei andato. Il Signore ti ha scelto e tu ti sei lasciato scegliere. Sei me, mio padre, mio nonno, sei gli uomini di questo mondo. Così normali e così tormentati, alla ricerca della verità, devoti, insofferenti, comprensivi, saggi. La donna delle pulizie stamattina, spolverando, ti ha fatto cascare dal tavolo. Che gioia quando ti ho ritrovato! Ero felice di raccoglierti perché mi hai insegnato a essere fatto di pasta, di pelle, di barba, di erba, di pioggia, di vento. Chi ti osserva, impara a credere nel Natale senza folla e assembramenti di stupidi propositi nella testa. Si cambia posto nel 2020: so che te ne farai una ragione. Ti prendo e ti metto sul tetto della capanna, accanto alla cometa che, solo a sfiorarla, ti lascia i brillantini sulle dita. Voglio che tu stia lì, in alto, a raccontare che siamo nati, comunque, sotto una buona stella. E a dimostrare che si può dire di sì pur se costa fatica. Adesso pensaci tu ad augurare buon Natale a nome mio.

(*) direttore “Il Popolo” (Tortona)

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