Coronavirus: a Bergamo si riparte dai “volti di speranza”

In un volume della Fondazione e Associazione Santina Zucchinelli, i volti e le storie di Luca Lorini e dello “staff” dell’ospedale Papa Giovanni XXIII. “Qui a Bergamo c’è l’Italia”, ha detto il presidente Mattarella. Acquistati due ventilatori polmonari per la terapia intensiva

(Foto ANSA/SIR)

“Qui a Bergamo, questa sera, c’è l’Italia che ha sofferto, che è stata ferita, che ha pianto”. Così il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, il 28 giugno ha reso omaggio a Bergamo, nel suo breve e intenso discorso pronunciato poco prima della Messa da Requiem di Donizetti davanti al cimitero monumentale, alla presenza dei 324 sindaci dei Comuni della provincia, in rappresentanza dei loro cittadini. “Fare memoria significa anzitutto ricordare i nostri morti e significa anche assumere piena consapevolezza di quel che è accaduto”, ha proseguito il capo dello Stato: “Senza cedere alla tentazione illusoria di mettere tra parentesi questi mesi drammatici per riprendere come prima. La straordinaria disponibilità e umanità di medici, infermieri, personale sanitario, pubblici amministratori, donne e uomini della Protezione civile, militari, Forze dell’Ordine, volontari. Vanno ringraziati: oggi e in futuro”. E proprio ai “veri eroi”, come li ha definiti Papa Francesco, è dedicato il 29° volume della Collana “I volti della speranza”, promossa dalla Fondazione e l’Associazione intitolate a Santina Zucchinelli e curato da don Gigi Ginami e Giulia Cerqueti.

Bergamo è stata la città e la provincia più colpita dal Covid-19:

nessuno di noi può dimenticare le immagini drammatiche dei camion dell’esercito a metà marzo, a un mese dal focolaio, quando la città non riesce già più a cremare e seppellire i suoi morti. Negli ospedali e nelle case di riposo la morte arriva per telefono: i parenti non possono stare accanto ai loro cari e gli anziani muoiono soli, spesso senza neanche il conforto delle cure palliative. Medici e infermieri sono in trincea, accanto agli ammalati: dietro le quinte, pronti a servire nel silenzio. Lo racconta Luca Lorini, direttore del Dipartimento di emergenza, urgenza e area critica dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, dal cui nome di battesimo il volume prende il nome: “Forse lo squallore più forte della morte è morire soli”. Giovanni Di Dedda e sua moglie Pina, lei infermiera e lui anestesista. Per stare accanto ai loro malati si sono ammalati ambedue di coronavirus. Caterina Simon è cardiochirurga al Papa Giovanni da otto anni:

“Alla morte, da medico, sei abituato. A vedere andare via un così alto numero di persone in poche ore no”,

spiega. Il dolore è come un compagno di strada da cui non riesci a separarti: è la testimonianza di Maria Berardelli, infermiera all’ospedale di Bergamo: “Ci si tiene tutto dentro. Ma poi alla sera, quando esci e torni in casa, hai bisogno di quello sfogo, di quel pianto che ti aiuta per il giorno dopo, e per quello dopo ancora”. Queste morti ti svuotano dentro, dice don Angelo Riva, parroco delle tre piccole comunità – in totale quasi 2.200 abitanti – di Carenno, Lorentino e Sopracornola, provincia di Lecco e diocesi di Bergamo: nell’arco di 10 giorni il virus gli ha strappato suo padre e un sacerdote suo collaboratore e amico.

“Da noi non si sentivano i canti dal balcone”,

racconta Emanuele Berbenni, medico chirurgo che opera come medico di famiglia nel suo paese, Montello, 3mila abitanti, a 15 chilometri da Bergamo: “È stato uno tsunami che ha travolto tutti. Nessuno si sarebbe immaginato una tragedia di queste dimensioni e con questi numeri. Ora è tutto da ricostruire, pezzo per pezzo, con pazienza, curando le ferite aperte, profonde, dolorose, le ferite del corpo e quelle dell’anima”. Tra i segni di speranza: i due ventilatori polmonari per la terapia intensiva acquistati dalla Fondazione e dell’Associazione Amici di Santina Zucchinelli per l’ospedale Papa Giovanni XXIII. Perché oggi, il cuore dell’emergenza Covid – come quello di tutti noi – è a Bergamo.

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