Quaresima e Coronavirus: anche io, anche a me

Quanto dovrà ancora spremerci, questa maestra dura che di nome fa Pandemia, e che è sopraggiunta a noi con gli austeri colori violacei della Quaresima, perché impariamo che siamo davvero tutti sulla stessa barca, e che abbiamo tutti bisogno dell’amore e della cura gli uni degli altri?

foto SIR/Marco Calvarese

“Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti.” Così Papa Francesco ieri sera, parlando a una Piazza San Pietro vuota, sotto un cielo nero e piovoso, mentre milioni di persone, credenti e non, lo ascoltavano dalle loro case chiuse da questa quarantena quaresimale.

“Tutti sulla stessa barca”.

“Non vado dal barbiere neanche io”, ha detto sempre ieri un altro augusto Anziano del Paese, il Presidente della Repubblica Mattarella, in un fuori onda emanato per sbaglio, e comunque accolto con molta simpatia dagli italiani, che al loro Presidente così umile e umano vogliono bene.
Neanche il Presidente va dal barbiere, perché siamo tutti sulla stessa barca: grandi e piccoli, preti e laici, immigrati e autoctoni, ricchi e indigenti… tutti poveri uomini mortali, atterriti dinanzi alla minaccia di una malattia che non fa differenze di ceto, popolo o cultura.

Il Papa e il Presidente: due grandi vecchi che ieri hanno provato, ognuno dalla sede della propria autorità, ad abbracciare l’Italia, a ringraziarla e a rincuorarla.
E da entrambi è venuto, sebbene con lessico differente, lo stesso invito a restare tutti uniti in questa crisi, in cui ognuno deve comprendersi sempre più come coessenziale all’insieme, affinché possiamo riportare la vittoria, e tornare a giorni sereni.

Perché la questione è molto semplice: questa cosa può capitare anche a me, anche io ci sono dentro. Anche io, se non sto attento e non ho cura, posso contribuire al dilagare del virus; anche a me può capitare di ammalarmi. Anche io devo accettare delle rinunce, perché anche a me, per la mia incolumità, può servire che gli altri le accettino.

Anche io, anche a me.
L’opposto di queste espressioni segnala un egoismo cieco e folle: “io no”, “a me no di certo”, “per me è diverso”.
“Sono forse io il custode di mio fratello?” chiede Caino a Dio per negare la sua colpa (Gen 4, 9). Sì, lo sei, e se ti neghi questo compito, tuo fratello lo ammazzi.
Anche io posso contribuire, in questi giorni tanto confusi, alla morte di qualcuno.
Può capitare anche a me di perdere una persona cara per l’incuria di qualche superficiale, di quelli che “eh, ma la legge dice che una passeggiata entro duecento metri posso farla”, e così le nostre piazze il sabato pomeriggio continuano a riempirsi, perché ognuno applica a sé questa dispensa, ritenendosi un caso a parte. L’autogiustificazione del peccato.

Quanto dovrà ancora spremerci, questa maestra dura che di nome fa Pandemia, e che è sopraggiunta a noi con gli austeri colori violacei della Quaresima, perché impariamo che siamo davvero tutti sulla stessa barca, e che abbiamo tutti bisogno dell’amore e della cura gli uni degli altri?

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