“In occasione di queste feste natalizie proviamo a dare un piccolo segno di giustizia e di speranza a chi è accanto a voi, a chi è in difficoltà, è solo, è incompreso. Come amo dire, non facendo cose faraoniche, ma gesti piccoli, semplici”. Lo afferma il card. Paolo Lojudice, arcivescovo di Siena-Colle di Val d’Elsa-Montalcino e vescovo di Montepulciano-Chiusi-Pienza, in un videomessaggio registrato in piazza San Pietro.
“Siamo vicini al Natale e quello del Giubileo che abbiamo vissuto è stato un anno veramente speciale e vorrei inviare a tutti voi il mio augurio, profondo e sincero, per un Natale sereno e un gioioso anno nuovo”, sottolinea il porporato a pochi giorni dalla conclusione dell’Anno Santo. “Parliamo di chiusura, ma non lo è, anzi”, osserva il cardinale: “Ci tengo a ribadirlo, come ho fatto tante volte, di fatto è un’apertura che continua. Non è un gioco di parole, ma aver vissuto l’anno giubilare con i suoi tanti momenti non vuol dire finire, ma continuare con una marcia in più. Si chiuderanno a Roma le Porte Sante, ma deve rimanere aperto il nostro cuore, il nostro atteggiamento, per continuare a essere testimoni di speranza, che cammino nelle vie di questo mondo”. “Continuare a essere pellegrini di speranza – spiega Lojudice – significa tante cose: innanzitutto riportare il nostro essere chiesa al centro delle parrocchie, delle nostre comunità, quindi non sacrestie chiuse, ma luoghi di incontro e di accoglienza, di ascolto e di proposta soprattutto pensati e rivolti ai giovani. Poi ancora, restituire alle nostre parrocchie il ruolo di prima accoglienza dei bisogni che vediamo crescere intorno a noi, luoghi di raccolta di tante fragilità che sono sui nostri territori e che incontriamo nel nostro cammino, ripartire dalle Caritas parrocchiali per dare centralità al senso di essere comunità nel bene e anche combattendo, lì dove è necessario, il male. Rimettere al centro della nostra vita, la spiritualità, il Vangelo, tutto deve partire e muoversi da lì, nessuno si deve sentire solo e per questo dicevo che le nostre chiese devono essere sempre porte spalancate, nelle forme possibili, alla spiritualità, alla carità e alla solidarietà”. “Dalla Terra Santa all’Ucraina, al Congo e altre zone del mondo, donne e uomini attendono segni di speranza”, ammonisce l’arcivescovo: “Non possiamo non chiederci allora cosa è stato per tutti loro il Giubileo? Uno dei tanti eventi che si è svolto a Roma? No, non dev’essere questo e non è stato questo”. “È stato il segno – rileva – che Gesù c’è, è vicino a loro e a tutti i drammi dell’esistenza umana, e che noi siamo con loro e non dovremo mai smettere mai di sperare e pregare con loro e per loro”. “Anche di fronte ai grandi blocchi economici, culturali e alle grandi superpotenze – aggiunge il card. Lojudice – ci sentiamo impotenti, perché non sappiamo cosa fare. Ma io credo ognuno di noi possa fare tanto! Portando la speranza nella nostra vita e donandola a chi l’ha persa, piccole tessere di quel grande e splendido mosaico che è la vita vissuta nella misericordia”. “L’eredità che ci deve lasciare il Giubileo – la convinzione del porporato – è quella di sapere guardare negli occhi chi è fragile, chi è solo, in carcere, chi è ai margini. Non voltiamoci dall’altra parte!”.