“Se le ricchezze minerarie della Repubblica democratica del Congo devono essere sfruttate, che lo siano, ma che ci lascino almeno vivere in pace”. È appello di Depolin Wabo, operatore della Ong salesiana Vis-Volontariato internazionale per lo sviluppo, che da Goma racconta al Sir la drammatica quotidianità di una popolazione stremata da oltre trent’anni di conflitto. La città, occupata dal gruppo armato M23 dalla fine di gennaio, vive nel caos: salari inesistenti, banche chiuse, commerci paralizzati. Nei giorni scorsi i miliziani, sostenuti dal Rwanda, hanno conquistato Uvira, nel Sud Kivu, causando oltre 400 vittime civili e lo sfollamento di più di mezzo milione di persone. Poi l’annuncio di un ritiro “unilaterale”, su richiesta degli Stati Uniti, dopo la firma di un accordo di pace tra Congo e Rwanda. “La guerra cambia faccia ma è sempre la stessa – denuncia Wabo –. Non abbiamo mai conosciuto la pace, cambiano solo i nomi dei gruppi armati. Ora c’è l’M23”. Dietro la violenza, c’è il controllo delle immense risorse minerarie – cobalto, rame, oro e terre rare – contese da multinazionali e Paesi stranieri. “Più dura la guerra, più facilmente possono sfruttare le ricchezze”, osserva l’operatore. Papa Leone XIII, all’Angelus di domenica, ha rivolto un nuovo appello alle parti in conflitto perché cessino ogni violenza e si impegnino in un dialogo costruttivo. “Vorremmo una vita normale – conclude Wabo –. Vorremmo che i nostri figli potessero crescere nella pace. Noi non abbiamo mai beneficiato di queste ricchezze minerarie. La pace: questo è tutto ciò che chiedo”.