Una fuga in avanti “prevedibile” per i ritardi colpevoli e ingiustificati del Parlamento. Una legge che “ha interpolato il dettato della Corte” e mette a rischio le persone più fragili e sole. In un’intervista al Sir Alberto Gambino, presidente del Centro Studi Scienza&Vita della Conferenza episcopale italiana e professore di diritto privato all’Università europea di Roma, all’indomani dell’approvazione della legge sul fine vita (e suicidio assistito) da parte del Consiglio regionale della Toscana, esprime molte riserve sul provvedimento che “stravolge la mission del Servizio sanitario”.
Mentre la sentenza 242/2019 della Corte costituzionale “non riconosce un diritto al suicidio, ma opera come scriminante su un reato”, invitando il Parlamento a legiferare in materia, spiega il giurista, la Regione Toscana dà invece “per scontato che, una volta certificati i requisiti nel soggetto, l’aiuto al suicidio diventi a tutti gli effetti una prestazione sanitaria all’interno degli ospedali. E questo è devastante perché una struttura nata per curare viene stravolta nella sua mission.
La Regione si è insomma arrogata delle competenze, indicando una soluzione che neanche la Corte costituzionale aveva prospettato”. “Sostenere che sia solo un atto amministrativo è una falsificazione della realtà”, aggiunge Gambino precisando che “la legge regionale ha interpolato il dettato della Corte”.
Gambino rivolge quindi il pensiero alle persone in condizione di solitudine e fragilità, che potrebbero indotte a chiedere il suicidio assistito. “Nel momento in cui una procedura si traduce in un vero e proprio protocollo sanitario – finora si sono verificati casi sporadici per i quali venivano adottate di volta in volta procedure ad hoc – crea una prassi che fa cultura. Un paziente in possesso dei requisiti stabiliti dalla Corte, se solo, indigente, senza una rete familiare intorno, di fronte alla proposta di un ‘protocollo ormai collaudato’ sarà probabilmente tentato di fare questa scelta”.