Fratelli nel modo e nel mondo

Si avvicinano giorni densi di iniziative in diocesi: due le matrici su cui si innestano. Da una parte, al centro di ottobre, la Giornata mondiale dedicata alle missioni. Una giornata per ricordare e sostenere chi, lasciando volti e luoghi noti, si è dedicato alla cura di anime e corpi di genti lontane. Dall'altra l'imminente Settimana sociale che ci ricorda, riprendendo la Laudato Sì di papa Francesco, come tutto sia connesso - luoghi, persone, azioni, passato, futuro, scelte - dato che tutto e tutti stiamo sul medesimo pianeta.

Si avvicinano giorni densi di iniziative in diocesi: due le matrici su cui si innestano. Da una parte, al centro di ottobre, la Giornata mondiale dedicata alle missioni. Una giornata per ricordare e sostenere chi, lasciando volti e luoghi noti, si è dedicato alla cura di anime e corpi di genti lontane. Dall’altra l’imminente Settimana sociale che ci ricorda, riprendendo la Laudato Sì di papa Francesco, come tutto sia connesso – luoghi, persone, azioni, passato, futuro, scelte – dato che tutto e tutti stiamo sul medesimo pianeta.
Sui due eventi getta una nuova luce – e chiede uno straordinario impegno – l’ultima Fratelli tutti, enciclica non solo ispirata ma pure firmata sull’altare di quel San Francesco che non ha ancora smesso di insegnare la sua fratellanza globale: verso l’uomo (a qualsiasi latitudine egli abiti e qualsiasi cosa faccia) e verso le creature (uomini, animali, foreste, non meno che acqua, suolo, aria…).
Nella Giornata missionaria mondiale la comunità diocesana vive quest’anno un momento straordinario per i cinquanta anni della missione diocesana in Kenia. Scomparso il pioniere, don Dante Spagnol, è facile legarla al volto sorridente di don Romano Filippi e al suo progetto che solo la sua perseveranza encomiabile e indomita ha potuto trasformare in chilometri di acquedotto per terre e fratelli sitibondi. Una fatica gemella a quelle dei tanti che, sacerdoti e no, in Kenia sono passati o si sono fermati a lungo, come don Elvino Ortolan che ancora là opera. Missionari che hanno già incarnato quel senso di fratellanza universale che papa Francesco sente urgente ricordare al mondo e che sgorga incessantemente da Francesco di Assisi.
La Settimana sociale diocesana non è affatto lontana da questi temi, dato che – come ci ha ricordato il papa – “Tutto è connesso”: perifrasi che risuona di quella valenza che gli economisti chiamano globalizzazione, ma che Francesco intride di valore sociale: non meno connesse sono infatti le creature che la terra abitano.
Siamo tutti sorelle e fratelli: in pace o in guerra; attenti o reciprocamente disattenti; uniti o in lotta. “Tutti sulla stessa barca” e non solo per il Covid: tutti ancorati alla medesima sfera che ruota su una notte infinita e che già manifesta segnali di sofferenza attraverso quei cambiamenti climatici che fino a ieri erano stigmatizzati e che oggi, a suon di disastri, stiamo derubricando dalla voce fandonie o esagerazioni.
Allora, che ci occupiamo di missioni al di là dell’equatore o di questioni sociali che agitano le aziende di casa, alla luce della nuova parola d’ordine – Fratelli tutti – poco cambia: un’unica umanità siamo, legati gli uni agli altri, che ci piaccia o no, che ce ne curiamo o no.
Ma fratelli non è una carezza buonista dal tocco lieve, tutt’altro. E’ parola estremamente impegnativa, che nasce nella Genesi con un omicidio – di Caino su Abele -, e prosegue con difficoltà tra umane gelosie – Giuseppe e i suoi fratelli -. Una parola che germoglia lentamente e, talvolta, a fatica anche nelle famiglie dove capita prima di perdersi e poi, col tempo, forse di ritrovarsi. Parola che sembra essere davvero compresa solo quando le tragedie ci mostrano fragili: colpiti da un’alluvione, da una guerra, da una malattia, da un lutto. Sono questi eventi tragici a legarci l’un l’altro, a donarci l’empatia di fratelli; tanto più tali quanto più comprendiamo che quel ferito, quel colpito, quel malato, quel povero potremmo essere noi.
Fu così anche per Giuseppe Ungaretti: chiamò fratelli i soldati che gli passavano accanto, forse nemici. In quell’odio comandato, in quella comune morte incombente, il suo “fratelli” si levò alto come una parola di ribellione. E può levarsi ancora come riscatto dell’uomo contro il potere della politica, delle economie, degli interessi di pochi, delle ingiustizie: uno scudo contro ogni sopruso a difesa dell’uomo.

(*) direttore “Il Popolo” (Pordenone)

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