In Italia i medici oncologi dedicano il 41% del loro tempo alle attività amministrative, il 59% a quelle mediche. Che siano essi medici specialisti in oncologia dirigenti di I livello o di II livello le percentuali cambiano poco: 39% vs 61% nel primo caso, 42% vs 58% nel secondo caso. Risultato? Il burden amministrativo, che sottrae tempo al rapporto medico-paziente, peggiora la qualità del tempo di lavoro e riduce efficacia ed efficienza del Servizio sanitario nazionale, con un aggravio sulla spesa pubblica. Sono questi i dati emersi da un’indagine promossa dal “Cipomo – Collegio italiano dei primari oncologi ospedalieri” assieme a La Lampada di Aladino Ets e Isheo e presentata, oggi a Roma, nel convegno “Burden amministrativo dei medici oncologi: dalle evidenze a una proposta di soluzione”.
Sentimenti di esaurimento, ridotta efficacia professionale, aumento della distanza mentale dal proprio lavoro: sono queste le dimensioni del burnout, un problema che, almeno secondo l’indagine, il 74% dei medici oncologi ritiene in parte dovuto alle incombenze delle mansioni amministrative e un 22% principalmente.
Ma quali sono le mansioni amministrative più gravose? Secondo il 79,3% dei medici la modulistica, seguita dalla gestione dei guasti del sistema informatico (60,9%) e dalla compilazione e gestione dei dati (55,87%). Incarichi che impattano sul tempo da dedicare alla comunicazione clinica con il paziente, sulla diagnosi e sul follow-up. Eppure una parte delle mansioni amministrative potrebbe essere delegata.
“Delegare diventa la parola d’ordine. Le mansioni amministrative riducono sia il tempo da dedicare al paziente sia quello per la formazione, l’informazione e le attività multidisciplinari in un settore come l’oncologia che contiene un numero crescente di innovazioni terapeutiche. Delegare una parte dei compiti amministrativi permetterebbe agli specialisti di avere più tempo per le mansioni mediche, con un’attenzione particolare ai pazienti e una migliore appropriatezza nell’allocazione delle risorse del Ssn”, ha sottolineato Davide Petruzzelli, presidente de La Lampada di Aladino Ets.
“Mettere il medico al centro deve diventare una priorità nella politica sanitaria italiana, per realizzare una vera patient centricity”, ha dichiarato Davide Integlia, general manager di Isheo.
“La relazione con il paziente è un aspetto cruciale nell’attività del medico. Sottrarre tempo può comportare un’insoddisfazione reciproca. Siamo in un periodo in cui le risorse mediche sono carenti, per questo è necessario stabilire una gerarchia di importanza e dedicare di nuovo un tempo adeguato, continuo e protetto alla relazione con il paziente”, ha detto Monica Giordano, direttore della Struttura complessa Oncologia dell’Ospedale Sant’Anna di Como.
“In Italia vivono 3,7 milioni di cittadini dopo la diagnosi di tumore, quindici anni fa, nel 2010, erano 2,6 milioni – ha affermato Francesco Perrone, presidente di Aiom (Associazione italiana di Oncologia medica) –. I pazienti oncologici che convivono con la malattia in forma cronica rappresentano una grande sfida per il Ssn. Servono più risorse e personale da destinare all’oncologia ed è necessario liberare i clinici dalle attività burocratiche. La soluzione può essere rappresentata da un modello di affiancamento di nuovo personale agli oncologi, con figure amministrative in grado di supportare il personale sanitario durante le visite, per accorciarne la durata e aumentarne il numero”.
Il campione. L’indagine è stata condotta tra febbraio e marzo 2025 su 179 medici oncologi: il 56% donne, il 44% uomini, con un’età media pari a 49 anni.