“Ogni anno, in questi giorni, ricordiamo Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta. Ma il ricordo, da solo, non basta. Se queste giornate si limitano alla commemorazione, rischiano di diventare vuote. Il vero modo per onorare il sacrificio di Borsellino è raccogliere il suo testimone e trasformare la memoria in azione”. Lo afferma Agostino Sella, presidente dell’Associazione Don Bosco 2000, a 33 anni dalla strage di via D’Amelio. “Non possiamo – continua Sella – accontentarci di portare una corona di fiori o condividere un post sui social. Dobbiamo impegnarci ogni giorno, nei quartieri, nelle scuole, nei luoghi dove la mafia cerca consenso o dove si insinua silenziosamente. La mafia non è solo un’organizzazione criminale: è una mentalità, una cultura dell’illegalità e della sopraffazione, che va smontata con il coraggio della verità e la coerenza dei comportamenti quotidiana”. La memoria, per l’Associazione Don Bosco 2000, non è un rituale da rispettare ogni anno, ma un esercizio quotidiano di responsabilità: “Borsellino ci ha lasciato una sfida culturale ed educativa. Diceva che la mafia sarà sconfitta solo quando avremo costruito una società capace di rifiutare la cultura dell’omertà e dell’indifferenza. Per questo il nostro lavoro con i giovani, italiani e migranti, passa anche dalla promozione della legalità, dell’onestà e della partecipazione attiva. Nessuna integrazione è possibile senza giustizia sociale. Nessuna democrazia può dirsi compiuta se tollera zone d’ombra dove vige la legge del più forte”. Urgente una mobilitazione collettiva, concreta e continua: “L’Italia – conclude Stella – ha bisogno di meno parole e più scelte coraggiose. Ha bisogno di educatori, insegnanti, amministratori, operatori sociali, imprenditori, giornalisti, cittadini che scelgano di non voltarsi dall’altra parte. L’eredità di Borsellino non può essere lasciata alle commemorazioni. Deve diventare la spinta per costruire comunità giuste, inclusive e libere. Solo così potremo dire che la sua morte non è stata vana”.