Pace: card. Zuppi (Cei), “il primo modo per osare la pace è non smettere di cercarla”

Card. Matteo Zuppi - Foto Comunità Sant'Egidio

“Il primo modo per osare la pace è non smettere di cercarla”. Lo ha detto ieri sera il card. Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza episcopale italiana, intervenendo alla cerimonia inaugurale dell’incontro internazionale per la pace dal titolo “Osare la pace – Religioni e culture in dialogo”, promosso dalla Comunità di Sant’Egidio. Per il porporato, “alla globalizzazione dell’indifferenza si oppone la cultura dell’incontro, alla globalizzazione dell’impotenza si oppone la cultura della riconciliazione. Oggi è una bellissima e grande opposizione! La pace non si costruisce con i grandi, ma con gli umili. Osiamo la pace perché ascoltiamo il grido di Abele, il soffio di chi muore e implora vita”. Prima del cardinale sono intervenuti, tra gli altri, la regina Mathilde del Belgio, che ha sottolineato che “la pace è l’arte di riconciliare le differenze e di trasformare l’avversario in un fratello”, invitando a difendere insieme i principi che uniscono i popoli, e affermando che “osare la pace non è uno slogan, ma un appello”, e che la storia giudicherà le generazioni presenti “in base all’eredità di pace lasciata ai figli e ai nipoti”. Per Ahmed Al-Tayyeb, grande imam di Al-Azhar, “quando la giustizia scompare, l’uomo perde la sua umanità”. L’imam ha ricordato la Dichiarazione sulla fratellanza umana firmata con papa Francesco ad Abu Dhabi, come segno di speranza per un futuro fondato su valori morali condivisi, e ha concluso che “la giustizia è la legge suprema della vita e la pace ne è il frutto naturale”. Per Pinchas Goldschmidt, presidente della Conferenza dei rabbini europei, la pace, nella tradizione ebraica, non è una tregua fragile ma “una fiamma conquistata tra le lacrime”. “La pace – ha detto – richiede la mano ferma del chirurgo, la penna paziente del poeta. Esige la sapienza di vedere il volto dell’altro non come un nemico, ma come un compagno di viaggio nel vasto giardino di Dio. Oggi viviamo in un mondo consumato dall’odio e dalle voci estreme. Ma la pace non è un sogno remoto: è la scelta quotidiana di chi disarma l’orgoglio e condivide il pane con lo straniero”. Alla cerimonia inaugurale ha portato la sua testimonianza anche Koko Kondo, hibakusha di Hiroshima, che ha raccontato la sua infanzia: “Eravamo rimaste in casa, io e mia madre – ha detto – quando la casa è crollata all’improvviso. Mia madre perse conoscenza e il suo peso mi schiacciò; non riuscivo a respirare. Quando si riprese, gridò: ‘Non importa di me, salva mia figlia’. Riuscì a estrarmi dalle macerie e ci salvammo”. La sopravvissuta ha poi ricordato l’incontro che le cambiò la vita: “Dieci anni dopo, mio padre partecipò a un programma televisivo negli Stati Uniti, dove fu intervistato insieme al capitano Robert Lewis, copilota dell’Enola Gay. Quando lui, con le lacrime agli occhi, disse: ‘Mio Dio, cosa abbiamo fatto?’, da quelle parole e dalle sue lacrime capii che non era un mostro. In quel gesto trovai la forza per smettere di odiare: se devo odiare, è la guerra che devo odiare. Pensiamo ai bambini e al loro futuro”, è stato l’invito.

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