“La Chiesa, come una madre, cammina con coloro che camminano. Dove il mondo vede minacce, lei vede figli; dove si costruiscono muri, lei costruisce ponti”. Con queste parole tratte dall’esortazione apostolica Dilexi te di Leone XIV, mons. Pierantonio Pavanello, vescovo di Adria-Rovigo, ha voluto richiamare il senso profondo del suo intervento di saluto al Festival della migrazione, in corso a Rovigo nel Palazzo Angeli, sede del dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Ferrara. Il presule ha ringraziato chi si adoperato per rendere possibile questa iniziativa e, in particolare, la Fondazione Cariparo. Un saluto speciale è stato rivolto anche all’arcivescovo di Ferrara-Comacchio, mons. Giancarlo Perego, presidente della Fondazione Migrantes della Cei. Mons. Pavanello ha sottolineato che “la presenza a Rovigo del Festival della migrazione costituisce un messaggio importante”, soprattutto in un contesto dove “si è sostenuto che la nostra città non sia in grado di affrontare il fenomeno migratorio” e che si debbano “abbandonare le iniziative volte a promuoverne l’accoglienza e l’integrazione”. Contro questa visione, ha affermato, il Festival testimonia che “nella nostra città ci siano persone e aggregazioni che coltivano un pensiero diverso e più positivo verso il fenomeno migratorio”, consapevoli “della sua complessità ma anche della oggettiva impossibilità di rimuoverlo o di confinarlo ai margini della nostra vita sociale”. “La Chiesa diocesana di Adria-Rovigo, nella fedeltà al Vangelo e al Magistero pontificio (anche di Papa Leone), incoraggia e promuove questo pensiero positivo”, ha proseguito il vescovo, ricordando che “di fronte ai migranti che bussano alle nostre porte non possiamo solo trincerarci dietro al problema, pur legittimo, della sicurezza e dell’ordine pubblico”. La risposta, ha ribadito, deve articolarsi nei “quattro verbi, cari a Papa Francesco e fatti propri anche da Papa Leone: accogliere, proteggere, promuovere e integrare”. Uno spazio particolare è stato riservato ai “minori non accompagnati, i più poveri tra i poveri, perché stranieri, minorenni e privi del sostegno di genitori e altri parenti”. Da cristiani, ha concluso mons. Pavanello, “non possiamo lasciare che le nostre opinioni e i nostri comportamenti siano dettati solo dalla paura e dal pensiero dominante nell’opinione pubblica”, ma siamo chiamati a “riflettere su quanto la Chiesa da sempre ci insegna: … in ogni migrante respinto è Cristo stesso che bussa alle porte della comunità”.