Sei milioni e 380mila italiani vivono oggi all’estero; nel 2024 sono stati 156.000 i cittadini italiani che hanno lasciato il Paese (+36,5% rispetto al 2023); l’Emilia-Romagna è la quarta regione italiana per partenze, con un incremento del +161,5% in vent’anni; i carpigiani (abitanti di Carpi) residenti all’estero sono passati da 1.024 nel 2006 a 3.600 nel 2024 (+251%). Sono alcuni dati forniti dalla sociologa e curatrice del Rapporto Italiani nel Mondo, Delfina Licata, durante il convegno “Partenze e ripartenze: l’Italia che siamo. Carpi nel mondo, storie di chi parte”, promosso all’interno del Festival della Migrazione dalla Migrantes interdiocesana Carpi e Modena-Nonantola, dalla Consulta per l’integrazione dell’Unione Terre d’Argine e Comune di Carpi. “Ci raccontano che l’Italia non emigra più. È falso. L’Italia continua a partire: l’emigrazione è un fenomeno strutturale, non un’eccezione”, ha detto Licata, secondo la quale “viviamo una mobilità malata: non perché le persone partono, ma perché non riescono facilmente a tornare. Il compito dei territori è guarire questa malattia, diventando capaci non solo di trattenere ma di attrarre”. “Chi sperimenta un primo percorso migratorio – ha aggiunto la coordinatrice dell’unico studio sulla mobilità italiana nel mondo – è portato a ripartire con più facilità. Migrazione chiama migrazione e non si parte solo per lavoro: su dieci persone intervistate solo due parlano di occupazione. Le altre otto partono per realizzare se stesse. È una migrazione esistenziale prima che economica”. All’incontro anche Maria Chiara Prodi, segretaria generale del Consiglio degli italiani all’estero (Cgie), ha affiancato l’analisi con una riflessione fortemente evocativa, definendo la mobilità come un sistema di “autostrade” da tenere percorribili per tutti, indipendentemente dalla storia individuale: “Le istituzioni devono essere manutentori di queste autostrade, perché ogni storia — che viaggi in utilitaria o in Tir — ha pari dignità. Gli italiani all’estero non sono criminali che falsificano voti o passaporti. Sono cittadini che vogliono partecipare. Dobbiamo investire nelle Consulte, nei Comites, nel Cgie e nelle associazioni. L’intermediazione positiva e la sussidiarietà sono la vera innovazione democratica”. Elena Ugolini della Consulta degli emiliano-romagnoli nel mondo ha offerto una testimonianza che intreccia dati, storia personale e visione politica: tra 2010 e 2025 gli emiliano-romagnoli iscritti all’Aire (l’Anagrafe degli italiani residenti all’estero) sono passati da 129.000 a 265.000. La vicepresidente della Consulta ha ricordato che ci sono 80 associazioni di emiliano-romagnoli nel mondo (erano 42 pochi anni fa), l’obiettivo di rafforzare la rete globale entro fine legislatura, ampliandola oltre l’America Latina, la volontà di favorire scambi studenteschi e culturali per creare “ambasciatori della cultura e della lingua”. A concludere i lavori il coordinatore delle Missioni cattoliche italiane in Gran Bretagna, don Antonio Serra, che ha ricordato come “dietro ogni numero ci sia un volto, una storia, una figlia, un fratello. Non sono dati: sono persone. La metafora delle radici non basta più. Un fiume parte da una sorgente — famiglia, cultura, città — ma si nutre di ciò che incontra e irriga ciò che attraversa. Così sono le nostre nuove generazioni di migranti”. A presentare alcune testimonianze, raccolte dalla Consulta per l’integrazione e dalle diocesi è stato Stefano Croci, condirettore della Migrantes interdiocesana Carpi–Modena-Nonantola: testimonianze che hanno raccontato la complessità umana di ogni scelta, la nostalgia viva di chi è partito, la ricchezza di nuove radici, la maturazione personale che ogni percorso comporta.
L’incontro si è chiuso con un messaggio: “Partire non significa fuggire. Significa cercare una forma più autentica di sé, portandosi dietro un pezzo di casa”.