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Striscia di Gaza. Parroco Romanelli: “La situazione è destinata a peggiorare perché ogni attacco aereo vuol dire più morte”

Si è aperta questa mattina ad Ascoli la XI edizione del Meeting nazionale dei giornalisti dal titolo “Disarmare le parole”, organizzato dalle diocesi del Piceno, l’Ordine dei giornalisti delle Marche, l’Ordine degli avvocati e dei commercialisti. A portare la sua testimonianza da Gaza, in un video messaggio all'assemblea, è stato il parroco padre Gabriel Romanelli

(Foto AFP/SIR)

“La situazione continua a essere molto grave, i bombardamenti continuano purtroppo, per questo è destinata a peggiorare perché ogni attacco aereo vuol dire più morte, più feriti, più distruzione”: si è aperta, questa mattina a Ascoli, con una video testimonianza dalla Striscia di Gaza, di padre Gabriel Romanelli, parroco della parrocchia latina della Sacra Famiglia, la XI edizione del Meeting nazionale dei giornalisti dal titolo “Disarmare le parole”, organizzato dalle diocesi del Piceno, l’Ordine dei giornalisti delle Marche, l’Ordine degli avvocati e dei commercialisti. Sin dalle sue prime edizioni il Meeting ha sempre riservato attenzione al Medio Oriente e in particolare alle vicende della Terra Santa. Quest’anno a portare tutta la drammaticità del conflitto in corso a Gaza dal 7 ottobre 2023 è stato il parroco Romanelli. Le sue parole arrivano mentre prosegue la campagna militare aerea e terrestre dell’esercito israeliano che sta provocando decine di morti in diverse località della Striscia, nel quartiere di Sabra, a Gaza City, a Khan Yunis. Nel mezzo di questa catastrofe, con la sanità oramai al collasso, la distribuzione degli aiuti alimentari alla popolazione a rischio carestia si fa sempre più difficile per la Gaza Humanitarian Foundation (Ghf), sostenuta da Stati Uniti e Israele per controllare l’emergenza umanitaria, dopo un blocco totale di aiuti imposto dal Governo Netanyahu il 2 marzo scorso.

Padre G. Romanelli (Foto Latin Parish)

Mancanza di speranza. “Umanamente parlando – ha detto il parroco, missionario argentino dell’Istituto del Verbo Incarnato (Ive) – la cosa che più colpisce è la mancanza di speranza nella popolazione. Parliamo di 2,3 milioni di persone che non vedono un futuro. Non lo vedono perché non viene loro dato un segnale chiaro che potranno vivere e ricostruirsi una vita nella loro terra.

La cosa principale di cui tutti hanno bisogno è che la guerra finisca.

Nella Striscia vivono 2,3 milioni di gazawi che hanno bisogno di tutto per vivere, dal cibo all’acqua, alle medicine. È angosciante”. “Il cibo ha ricordato padre Romanelli – non solo deve essere sufficiente ma anche vario: la carne non si trova e quella che c’è ha prezzi altissimi e quindi impossibile da acquistare. Chi ha ancora denaro non può prenderlo perché le banche sono chiuse da circa 20 mesi, praticamente dall’inizio della guerra. Qualche miglioramento lo abbiamo visto dopo il cessate il fuoco, per esempio con le verdure che prima non si trovavano se non a prezzi esorbitanti, un kg di pomodori costava quasi 100 euro, ora servono circa 15 euro che resta un prezzo proibitivo per la gente di qui. Un kg di zucchero, se lo si riesce a trovare può costare anche 50 euro. Per questo motivo lo si vende a bicchieri o addirittura a cucchiai. Da mesi le famiglie, e anche noi in parrocchia, dove ospitiamo circa 500 sfollati cristiani, setacciamo la farina con i vermi. Grazie all’aiuto del patriarcato latino di Gerusalemme stiamo aiutando migliaia di famiglie. In questa parte del quartiere (al-Zaitoun, ndr.) di Gaza city, dove ci sono più di 2600 famiglie, c’è ancora chi possiede un po’ di farina da setacciare più volte per eliminare i vermi all’interno”.

Cristiani a Gaza (Foto Latin Parish, Gaza)

Preghiera continua. Dallo scoppio della guerra gli sfollati cristiani nella parrocchia non hanno mai smesso di pregare, confortati dalle telefonate serali di Papa Francesco, e di chiedere la pace e la liberazione degli ostaggi. “Con i nostri sfollati – ha affermato padre Romanelli – portiamo avanti le attività pastorali innanzitutto la preghiera. Al mattino con gli altri religiosi e religiose facciamo adorazione per un’ora, meditando in silenzio. Poi ci sono i bambini che vengono in chiesa per le loro preghiere, scrivono a Gesù, leggono il Vangelo. Questo è un momento molto toccante della nostra vita dentro la parrocchia dove abbiamo anche l’oratorio, il Rosario, la messa. Alla sera c’è la preghiera dei giovani e la Compieta.

I bambini giocano all’esterno, nel cortile, e quando ci sono i bombardamenti tutti corrono a ripararsi dalle schegge, ma dopo pochi minuti sono di nuovo tutti a giocare fuori. È dall’inizio della guerra che vivono qui dentro.

(Foto Latin Parish, Gaza)

Dopo così tanto tempo si abituano, ma non si può vivere sempre rinchiusi in una stanza che stanza non è, perché è un’aula scolastica priva di comodità, dove vivono 10-15 persone che hanno perso tutto e vivono in una situazione terribile. Vi chiediamo di pregare – ha concluso il parroco – di lavorare per la pace, convincere il mondo che la pace è possibile e che si può aiutare attraverso i canali del patriarcato latino di Gerusalemme”.

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