Cristiani in Pakistan. Mons. Rehmat (vescovo di Faisalabad): “La nostra comunità è ancora scioccata”

Parla al Sir mons. Joseph Indrias Rehmat, vescovo di Faisalabad e vicepresidente della Conferenza episcopale del Pakistan. Nell'agosto scorso nella sua diocesi sono state incendiate e distrutte case e chiese cristiane per false accuse di blasfemia. La comunità ha ancora paura e si sente perseguitata e discriminata. Tra le sfide più urgenti nel Paese il vicepresidente dei vescovi pakistani elenca l'educazione, la lotta alla povertà e a salari dignitosi, la pace e la sicurezza, il rispetto reciproco

(foto: Caiffa/SIR)

(da Islamabad) – “Aiutateci, parlate di noi e pregate per la nostra minoranza cristiana che deve affrontare discriminazioni e persecuzioni”. È l’appello di mons. Joseph Indrias Rehmat, vescovo di Faisalabad e vicepresidente della Conferenza episcopale del Pakistan. A Jaranwala, nella sua diocesi, il 16 agosto sono state incendiate e distrutte case e chiese cristiane, con centinaia di famiglie sfollate a causa di presunte accuse di aver offeso l’islam e violato la legge sulla blasfemia. “E’ già la terza volta che succedono episodi di questo tipo”, ricorda il vescovo: “Le persone sono ancora scioccate e faticano a superare questo tragico incidente”, nonostante gli aiuti materiali, psicologici e sociali arrivati in questi mesi da Caritas Pakistan. Su una popolazione di 224 milioni di abitanti i cristiani sono circa 2 milioni e mezzo ma le stime non sono certe e potrebbero essere più alte. L’altra grande preoccupazione del vescovo è la povertà che ancora affligge gran parte della popolazione, nonostante l’economia del Pakistan sia in continua crescita, insieme alla demografia: il tasso medio di fertilità è di tre figli ogni donna, tanto da farne il secondo Paese musulmano più popoloso al mondo, dopo l’Indonesia. La capitale Islamabad è una moderna eccezione, non sembra nemmeno una città asiatica. Grandi viali ad alto scorrimento ordinati e puliti, centri commerciali, aree blindate per ambasciate e istituzioni, niente traffico, molto verde, specchi d’acqua e aria pulita. Ma basta andare nella vicina Rawalpindi per rituffarsi nelle atmosfere povere, caotiche, affollate e inquinate tipiche dei grandi centri dell’Asia centrale e meridionale, dove la gente lavora duramente, spesso è sfruttata, e sopravvive con pochi dollari al giorno. Il salario medio pakistano è di circa 70 dollari al mese.

Joseph Indrias Rehmat, vescovo di Faisalabad e vicepresidente della Conferenza episcopale del Pakistan – (foto: Caritas Pakistan)

Com’è la situazione nella sua diocesi dopo i drammatici fatti di agosto? I cristiani hanno ancora paura?

È migliorata ma c’è ancora un po’ di tensione all’interno della comunità cristiana. Le persone sono ancora scioccate e traumatizzate e faticano a superare questo tragico incidente. Insieme a Caritas Pakistan abbiamo distribuito cibo e altri beni, avviato tre scuole dove far studiare i bambini, mandato i più grandi alla Don Bosco school, un istituto tecnico, perché possano apprendere competenze ed essere così in grado di sostenere le rispettive famiglie.

Cosa si può fare per prevenire questi episodi?

Abbiamo avuto molti incontri in questi mesi con leader musulmani e di altre religioni, con politici, per cercare di capire come prevenire questi incidenti e garantire la pace e l’armonia tra le nostre comunità. Ma è un processo molto lento, bisogna partire dalla base per arrivare fino ai livelli più alti. Bisogna sensibilizzare i leader ed educare le persone.

Cosa vuol dire essere alla guida di una diocesi dove la comunità cristiana è perseguitata?

Fa parte della nostra vita. Nella mia diocesi è la terza volta che accadono questi episodi a causa della legge sulla blasfemia. È difficile perché dobbiamo impegnarci per proteggere la nostra gente, prevenire e fare in modo che stiano in posti sicuri.

E’ molto dura ma la persecuzione è il prezzo che paghiamo per testimoniare la nostra fede.

(foto: Caiffa/SIR)

Molti cristiani fanno parte della popolazione più vulnerabile, soprattutto nei villaggi. La povertà è ancora un grande problema in Pakistan.

La povertà è in tutto il Pakistan. Molta gente non ha risorse sufficienti per far studiare i figli, per le cure mediche, per i farmaci. Anche se lavorano non hanno abbastanza soldi per una vita dignitosa per le loro famiglie.

La povertà è una grande sfida per noi perché la popolazione non ha lavori decenti.

Perciò ci impegniamo molto per dare competenze alle persone.

Di cosa ha più bisogno in questo momento il Pakistan?

Il paese ha bisogno prima di tutto di educazione a tutti i livelli.

Di rispettarsi gli uni con gli altri e di rispettare i sentimenti religiosi.

Poi c’è il terrorismo: nei giorni scorsi 9 persone sono state uccise e 25 ferite dopo un’aggressione a colpi di arma da fuoco contro un pullman, nel nord del Pakistan.

Si è ancora un grande problema. Quando c’è un attacco muoiono e soffrono persone innocenti. Per questo chiediamo pace e stabilità.

Cosa pensa dei corridoi umanitari dei rifugiati afgani che Caritas italiana porta avanti con l’aiuto di Caritas Pakistan?

E’ una buona iniziativa ed è positivo che ci sia una collaborazione tra Caritas Pakistan e Caritas italiana. Ci piacerebbe che non fosse solo per gli afgani perché anche in Pakistan molte persone sono in difficoltà, specialmente per mettere in sicurezza le vittime di attacchi.

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