Terremoto in Siria. Padre Jallouf da Idlib: “In mezzo a un deserto di macerie”

Rientrato solo il 24 febbraio nei villaggi cristiani dell'Oronte, a 50 km da Idlib, zona controllata dai ribelli anti-Assad, padre Jallouf, parroco di Knaye, racconta al Sir cosa ha visto al suo arrivo dopo il sisma del 6 febbraio scorso

Siria, parrocchia di Knaye con le tende dei terremotati (Foto H.Jallouf/Sir)

“Siamo in mezzo a un deserto di macerie. Mai avrei immaginato di vedere una simile distruzione al mio rientro. Avevo visto delle foto ma nulla a confronto con quanto è davanti ai nostri occhi. Inimmaginabile”. A parlare è padre Hanna Jallouf, francescano della Custodia di Terra Santa, parroco di Knaye, uno dei tre villaggi cristiani della Valle dell’Oronte (gli altri due sono Yacoubieh e Gidaideh) distante solo 50 km. da Idlib, capoluogo dell’omonimo Governatorato, controllato dai ribelli di Hayat Tahrir al-Sham che combattono contro il regime del presidente siriano Bashar al Assad. La zona di Idlib, insieme ad Aleppo, sono le aree dove il sisma del 6 febbraio scorso e dei giorni seguenti, ha causato i danni maggiori. Purtroppo sono poche le notizie che giungono da questa regione, dove i riflessi della guerra, entrata ormai nel suo 13° anno, impediscono un libero e sicuro accesso umanitario. Il sisma ha trovato padre Hanna a Damasco, di ritorno dall’Italia, dove

Siria, Knaye (Foto H.Jallouf/Sir)

aveva ricevuto (il 17 dicembre 2022) in Vaticano, dalle mani di Papa Francesco, il premio “Fiore della gratitudine” per il suo impegno verso i più poveri e vulnerabili. E a Damasco è stato costretto a restare fino al 24 febbraio scorso quando, finalmente, è riuscito a fare rientro a Knaye, dove era rimasto il suo confratello, padre Luai Bsharat, a fronteggiare, da solo, i giorni iniziali del terremoto.

“Un vero miracolo”. “Dei nostri tre villaggi quelli che hanno avuto più danni sono Knaye e Gidaideh – spiega al Sir il frate siriano – non c’è una casa, un palazzo che sia rimasto in piedi, le strade sono dei crateri e buche piene di massi e pietre. Le chiese e il nostro convento hanno riportato danni ingenti. Nel villaggio di Yacoubieh la chiesa è fuori uso. Dobbiamo ringraziare Dio se non si sono registrati morti sotto le macerie. Vista la devastazione questo è stato un vero miracolo. Al mio arrivo – rivela – abbiamo celebrato una messa di ringraziamento.”

“Pregare serve ad alimentare la speranza in un futuro che lo sconforto dopo tante drammatiche vicissitudini tende a cancellare nel cuore della gente. Questo è il nostro compito, adesso”.

Aiuti da pianificare. Ma c’è da organizzare anche un piano di aiuti per le famiglie cristiane, “praticamente tutte”, rimaste senza casa. “La gente – continua padre Hanna – è stata costretta a trovare riparo nei campi profughi. Alcune famiglie cristiane, circa 50, vivono in tende piantate a ridosso della nostra chiesa e del nostro convento semidistrutto. Ma almeno vivono vicine e possono sostenersi a vicenda. Io e padre Luai diamo l’aiuto che possiamo soprattutto cibo. Altri nuclei della nostra comunità, circa 20, sono sparsi nei campi profughi”. Di rientrare in casa, per chi ancora ce l’ha in piedi e agibile, non se ne parla per paura di nuove scosse e crolli, per cui, “si dorme all’aperto e nelle tende.

Siria, padre Jallouf con i terremotati di Knaye (Foto H.Jallouf/Sir)

Durante il giorno, poi, gli abitanti si radunano nei pressi delle loro proprietà per provare a riprendere qualche effetto personale o oggetto utile, poi tornano nei rifugi. Mai, durante il conflitto, – sottolinea il frate – la mia gente era andata stare nei campi profughi. Anzi, abbiamo sempre accolto tutti. Dal 2011, quando è scoppiata la guerra, ne abbiamo viste di tutti i colori: guerre, Isis, povertà, sanzioni, pandemia, ora è arrivato il terremoto che ha finito di abbattere quel poco che era rimasto in piedi”. Ma è “inutile piangersi addosso”, padre Hanna e padre Luai, si sono messi al lavoro e in questi giorni hanno fatto un accordo con le autorità locali, che fanno capo ai jihadisti di Hayat Tahrir al-Sham, per cominciare, spiega padre Hanna, “a rimuovere insieme le macerie dalle strade così da avere accesso alle abitazioni per verificarne l’agibilità. Abbiamo incaricato per questo alcuni tecnici. Non appena avremo finito la mappatura dei bisogni e delle abitazioni saremo in grado di avere l’aiuto necessario dalla Custodia di Terra Santa”.

La guerra degli aiuti. Altra preoccupazione del frate siriano è rappresentata dal capitolo ‘aiuti’: “non sono molti e la maggior parte arriva, con lentezza, passando dalla Turchia”.

“Gli aiuti – denuncia il parroco – sono un mezzo per continuare la guerra, così accade che Damasco e ribelli blocchino i convogli e che a rimetterci sia la popolazione bisognosa”.

Alle famiglie cristiane poi – rimarca – arrivano le briciole perché gli aiuti prendono direzioni diverse. Sappiamo dei convogli quando sono già passati. Le famiglie cristiane che visito di solito mi hanno detto che, in questo tempo, hanno ricevuto solo due pacchi alimentari e la tenda per dormire. Niente altro. Ma come abbiamo potuto verificare già durante la guerra, la Provvidenza non ci abbandona mai e così accade che diverse famiglie musulmane di buona volontà ci diano aiuti alimentari come possono. Qui vicino alla nostra chiesa, per esempio, c’è un piccolo ospedale che in diverse occasioni ci ha mandato del cibo per le nostre famiglie. È accaduto anche – conclude divertito padre Hanna – che è arrivata da noi, entrando dal confine turco, una delegazione di ong spagnole che da ben nove anni portano avanti progetti in questa zona. Quando ci hanno visto hanno ammesso che non sapevano della presenza dei nostri villaggi cristiani. Speriamo adesso che possano aiutarci”.

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