Fr. Rogério Soares (vicario episcopale) e i detenuti accusati di terrorismo: “Persone sprovvedute, dentro un gioco più grande di loro”

Tutti sopra i quarant’anni. Molte donne. Mediamente, un livello basso di studio. E una forte predisposizione a essere suggestionati dai media. Eccolo il profilo dei “golpisti” di domenica scorsa, degli assalitori dei Palazzi dei tre principali centri di potere brasiliani: il Governo, il Parlamento, il Supremo tribunale federale. Fa ancora discutere il clamoroso assalto di Brasilia. Le Istituzioni federali, di fronte alle falle delle forze dell’ordine del Distretto federale di Brasilia, hanno preso in mano direttamente la situazione, usando il pugno di ferro di fronte a un gesto obiettivamente grave, senza precedenti.

Tutti sopra i quarant’anni. Molte donne. Mediamente, un livello basso di studio. E una forte predisposizione a essere suggestionati dai media. Eccolo il profilo dei “golpisti” di domenica scorsa, degli assalitori dei Palazzi dei tre principali centri di potere brasiliani: il Governo, il Parlamento, il Supremo tribunale federale. Fa ancora discutere il clamoroso assalto di Brasilia. Le Istituzioni federali, di fronte alle falle delle forze dell’ordine del Distretto federale di Brasilia, hanno preso in mano direttamente la situazione, usando il pugno di ferro di fronte a un gesto obiettivamente grave, senza precedenti.

Un sacerdote per quattro ore tra i detenuti di Brasilia. Eppure, questo strano, anzi, decisamente improbabile, profilo di “golpista” è quello che si è trovato in prevalenza davanti a sé, martedì scorso, il vicario episcopale per la Promozione umana e le Opere sociali, frei Rogério Soares, che ha visitato le circa 1.200 persone arrestate perché accusate di terrorismo, che inizialmente erano state rinchiuse nell’Accademia federale di Polizia. “Lo sa che è il primo giornalista che mi telefona?”, dice al Sir il sacerdote. In un Paese spaccato come è oggi il Brasile forse può interessare poco sapere chi sono gli “strani” assalitori dei tre Palazzi, perché domenica scorsa si trovavano nell’epicentro della protesta, come ci sono arrivati e con che motivazioni, e come vivono ora l’accusa di essere dei “terroristi”, come recita il mandato d’arreso emesso niente meno che dal Supremo tribunale federale.

Proprio la sproporzione tra il capo d’accusa e le caratteristiche delle persone avvicinate martedì è ciò che ha maggiormente colpito padre Soares, che si è fermato tra loro per ben quattro ore. “In Accademia federale ci sono in questo momento circa 1.200 persone, 400 sono donne. Mancano quasi completamente i giovani. Coloro che hanno più di sessant’anni, circa 500, sono stati invece liberati, così come alcune mamme con bambini piccoli”. Confida il sacerdote: “Anche stanotte, a due giorni di distanza, pensando a loro, ho dormito poco”. Il perché è presto detto, ed è figlio di un iniziale dissidio interiore: “Da un lato, non mi sfugge la gravità di quello che è stato commesso domenica. Inaudito pensare alle sedi delle più importanti Istituzioni democratiche completamente devastate. E, naturalmente, non ero d’accordo con le manifestazioni delle ultime settimane, con gli accampamenti, con chi diceva che le elezioni erano da invalidare. D’altro canto, mi sono trovato di fronte a persone sprovvedute, in preda a una grande angoscia e agitazione, dentro a un gioco più grande di loro. Difficile pensare che tra quei milleduecento tutti siano golpisti. E infatti, parlando con loro, ho compreso che la grande maggioranza non sapeva cosa sarebbe accaduto domenica, pensava semplicemente di partecipare a una manifestazione. Molti non sono neppure entrati nei palazzi del potere. Tutti sono stati arrestati lunedì, il giorno successivo, dopo che avevano dormito lì, con la medesima gravissima accusa di terrorismo”. Padre Rogério ha un’intima convinzione: “Sa cosa penso? Che i veri responsabili degli atti vandalici siano subito riusciti a fuggire, e che qui siano rimasti i più sprovveduti, che rischiano di pagare per reati commessi soprattutto da altri. Per questo, penso sia giusto occuparsi di loro, portare loro conforto, come ho fatto. Mi auguro che a livello processuale siano analizzate le immagini di quanto accaduto, che si proceda in modo preciso”.

Certo, si tratta di gente che ha manifestato per Bolsonaro nelle ultime settimane: “In gran parte vivevano dentro a un’illusione, in una follia collettiva. Davvero credevano di poter destituire Lula, pensavano che avrebbe introdotto in Brasile il comunismo, credevano di compiere una battaglia giusta. Una grossa responsabilità ce l’hanno i social network, le fake news che vengono divulgate. Viviamo in un’era di post-verità, conta la narrativa più affascinante, capace di fare presa su chi è più fragile, tra persone semplici e povere che si sentono investite di una missione”.

Ora, invece, gli accusati hanno dovuto aprire bruscamente gli occhi, nell’Accademia della Polizia c’è un viavai continuo di avvocati. “Molti piangevano, avevano paura, iniziano a capire”. Per padre Soares, “la Chiesa è chiamata a stare unita, in un momento in cui nel Paese sono spaccate le famiglie, le comunità cristiane, le chiese, tutta la società. Non abbiamo bisogno di vendetta, ma di giustizia”.

Un messaggio vicino a quello dell’arcivescovo di Brasilia, il cardinale Paulo Cezar Costa, che da Roma, dove si trovava, ha detto in un video: “La Repubblica è stata offesa, il popolo brasiliano è stato offeso”, e ha aggiunto: “Le norme valgono per tutti- ha proseguito l’arcivescovo – e la Costituzione è per tutti. Questo è il tempo di pacificare il Brasile”, promuovendo la cultura del dialogo e dell’amicizia sociale, come afferma Papa Francesco nella “Fratelli tutti”.

I danni delle fake news. Su quanto accaduto domenica e sulle motivazioni dei manifestanti interviene al Sir anche Francisco Borba, sociologo e docente alla Pontificia università cattolica di San Paolo. “La violenza delle manifestazioni dell’8 gennaio non è stata un gesto isolato. Si erano già verificati a Brasilia, a dicembre, altri momenti delicati, con un tentativo di sabotaggio dell’approvvigionamento energetico del Paese. Ciò non significa che tutti i manifestanti fossero vandali, anche se l’idea di un colpo di Stato era nella mente di molti di loro.  A quanto pare si trattava di vaneggiamenti di persone che immaginano che un colpo di Stato equivalga alla propaganda sui social network. Un’azione intempestiva, senza una leadership e una forza militare unificate, non avrebbe portato a nulla di efficace”.

Le fake news, secondo il docente, “hanno creato un universo malato in cui gli oppositori estremisti sono presi come standard, tanto da rendere impossibile sia il dialogo che il consenso. La gente crede davvero che il PT di Lula chiuderà i templi, costringerà i ragazzi a diventare gay, autorizzerà i padri a dormire con le loro giovani figlie e caccerà le persone dalle loro case per costruire alloggi collettivi… Non dico che non ci siano pazzi con proposte estremiste, ma sono pazzi. Il problema è che i pazzi di una parte ci fanno credere che tutti quelli dell’altra parte siano pazzi, creando così un clima di insanità mentale in cui diventa impossibile un’azione politica sensata. Questo è il grande dramma, perché di fronte a uno scenario presentato come senza speranza, sembra logico e persino sensato fare appello alla violenza. Una politica finalizzata al bene comune richiede, invece, da entrambe le parti, una posizione di riconoscimento dei propri errori, di apertura alle insoddisfazioni e ai contributi dell’avversario”.

 

*giornalista de “La vita del popolo”

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