Il Vangelo tra i poveri d’Etiopia, come uno di famiglia

Da Adaba, sull’Acrocoro etiopico, la toccante testimonianza di don Nicola De Guio, fidei donum della diocesi di Padova, che insieme a don Stefano Ferraretto e alla laica Ilaria Scocco è stato inviato dalla diocesi veneta per questa esperienza missionaria

(Foto: Uniti nel Dono)

“Mangiare carne di pollo? Un lusso che non tutti, anche raramente, si possono permettere. In Etiopia i prezzi delle materie prime sono più che raddoppiati in un anno. Oltre alla siccità e quindi alle carestie periodiche, la gente deve fare i conti con le conseguenze di due guerre: quella interna nel Tigray e quella in Ucraina che colpisce anche noi qui”. Don Nicola De Guio, fidei donum della diocesi di Padova, commenta dalla cittadina di Adaba sull’Acrocoro etiopico, nella prefettura apostolica di Robe, l’impennata dell’inflazione (intorno al 40%) che fa dell’Etiopia uno dei Paesi africani più poveri ed esposti al rischio carestia. “Oggi è venuta una signora che ci ha chiesto qualcosa in prestito per comprare quaderni e libri per i figli che devono andare a scuola. “Siamo impegnati a far studiare i nostri figli – ha detto – ma il governo ci ha chiesto di dare dei soldi (circa 1000 birr a famiglia, circa 20 euro, ndr) ma io ne guadagno 3000 al mese e non ce la faccio a tirare avanti”. E non si tratta di un contributo volontario. Un esempio tra tanti che racconta la situazione del Paese, già povero prima dei due anni di pandemia e ora alle strette con la guerra, in casa e fuori”.
Don Nicola è dal 2019 in Etiopia insieme a don Stefano Ferraretto e alla laica fidei donum Ilaria Scocco; fa parte dell’equipe missionaria inviata dalla diocesi veneta per questa nuova esperienza missionaria. Sulla frontiera della prima evangelizzazione, in un contesto a maggioranza musulmana (95%), con molti ortodossi e solo l’1% di cattolici e protestanti, questo trio missionario si divide nelle molte attività pastorali e di sostegno alle piccole comunità locali: dalla scuola cattolica dall’infanzia fino alla terza media, al Centro pastorale e alla Casa famiglia che accoglie una dozzina di ragazzi. L’attività dei fidei donum si svolge nel raggio di un centinaio di chilometri, tra le cittadine di Adaba, Dodola, Herero, Nansebo e la comunità rurale di Kokossa dove è parroco.

Il da fare non manca perché gli appelli della povertà e dei bisogni sono ovunque:

dagli anziani (soprattutto quelli soli e dimenticati) agli orfani, alle famiglie più bisognose, con una attenzione particolare alla promozione della donna e per il futuro dei giovani. “Sento il dovere di questo impegno per una comunità che è povera, ma è anche chiamata a fare tutto il possibile per far crescere i propri fedeli oltre che dare testimonianza di quel seme della fede che Dio ha lasciato nel nostro cuore” spiega don Nicola, raggiunto ad Adaba, grazie al fatto che “oggi c’è internet, non capita spesso. Condividiamo la vita, le fatiche e la povertà di mezzi della gente a cui annunciamo il Vangelo. Quando ci spostiamo per andare nelle comunità, ci fermiamo con la gente nelle capanne, ci offrono un caffè ma qui è servito con il pane, qualche patata, un po’ di cavolo lesso. Siamo accolti come persone di famiglia”.
A Kokossa don Nicola, che tutti chiamano abbà, padre, è vicino alla gente. Racconta di “Burtukani e Girma, una coppia felice per la nascita del terzo figlio. Con il comitato della parrocchia li abbiamo aiutati a costruire una capanna. L’altra settimana abbiamo accompagnato Obborè a fare degli accertamenti medici per capire l’origine dei suoi dolori alla pancia e al petto: con qualche medicina si sta recuperando, ma il medico le ha suggerito di mangiare qualcosa di più nutriente. Con il comitato della parrocchia riusciamo a condividere meglio questi aiuti che non possiamo risolvere solo consegnando dei soldi, ma cercando di coinvolgere altre persone della comunità. Per aiutare anch’io cerco di farmi aiutare, anche per stimolare tutti alla solidarietà e alla fraternità”.
Originario di Asiago, don Nicola ha 52 anni, 25 di sacerdozio e quasi 14 passati in missione: dieci in Ecuador e poi in Etiopia. “Sento la bellezza di essere fidei donum valorizzando l’appartenenza ad una Chiesa e il servizio che dai ad un’altra. È la reciprocità nella Chiesa universale. Sono nato nella città di Ermanno Olmi, di lui ho apprezzato molte opere, ma soprattutto il valore che dava alle parole, lasciando che avessero il tempo di arrivare all’altro e di sedimentarsi nel suo cuore. È quello che cerco di fare come missionario,

ci vogliono parole vere per dire ad una persona che la ami in nome del Vangelo. E ci vuole molta umanità per dimostraglielo con i fatti. È una sfida importante per chi vive la missione”.

Le strade dell’ad gentes sono infinite ma a volte si uniscono in un unico percorso di fede e di vita. La prima esperienza di don Nicola è stata nella periferia di Quito “in una comunità che pochi anni dopo il rientro è stata riconsegnata al clero locale; la nostra missione diocesana è continuata in un’altra località della costa dell’Ecuador. Anche questa è stata poi riconsegnata e abbiamo chiuso la nostra esperienza nel febbraio 2021. Quali differenze con la missione attuale in Etiopia? In Ecuador la maggioranza era cristiana, mentre qui siamo minoranza, un piccolo seme. Ma questa è la provocazione del Vangelo: anche qui siamo chiamati a dare una testimonianza significativa della nostra fede”. E aggiunge: “Pur con diversità sociali, economiche e di prospettive ecclesiali, le due esperienze di missione hanno in comune l’aspetto umano, nel mio mettermi in gioco nelle relazioni con le persone. Nel restare al loro servizio per dare solidarietà e vicinanza, offrendo la carità del Vangelo ed il Vangelo della carità”.

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