Afghanistan. Padre Sanavio: “Dopo la fuga da Kabul un anno di sconvolgimenti”

Padre Matteo Sanavio, rogazionista, traccia al Sir un bilancio ad un anno dalla presa di potere dei talebani in Afghanistan, il 15 agosto 2021: sono stati costretti a chiudere il “Centro diurno Pbk – Pro Bambini di Kabul” che accoglieva dal 2006  bambini disabili. La presenza cattolica è azzerata, non c'è più libertà, le donne sono costrette ad indossare il burka e le ragazze non possono frequentare la scuola, la crisi economica e umanitaria è spaventosa. Ora la priorità è continuare a salvare gli ultimi rimasti a Kabul e le famiglie arrivate in Italia grazie ai corridoi umanitari

Padre Sanavio insieme all'ultima famiglia afghana arrivata in Italia, oggi ospite delle Suore del Cottolengo a Torino (foto M. Sanavio)

“È stato un anno di sconvolgimenti. Nessun cattolico è rimasto a Kabul. È impossibile perché con i talebani rischierebbero la morte”. Padre Matteo Sanavio, rogazionista, era il presidente del “Centro diurno Pbk – Pro Bambini di Kabul” che accoglieva dal 2006 nella capitale afghana una cinquantina di bambini disabili, con sindrome down e ritardi mentali lievi. Anche loro, insieme alla piccola comunità cattolica seguita dal barnabita padre Giovanni Scalese, con la salita al potere dei talebani un anno fa sono stati costretti a chiudere le attività . Perfino le suore di Madre Teresa di Calcutta sono state rimpatriate insieme ad una quindicina di disabili gravi che assistevano. A Kabul non c’è più nemmeno l’ambasciata italiana. L’associazione “Pro bambini di Kabul” era una esperienza unica perché riuniva 7 congregazioni religiose maschili e 7 femminili. A turni di due anni mandavano in Afghanistan due o tre religiose a gestire il centro. La presenza invisibile delle suore era tollerata. Preparavano i bambini all’inserimento nelle scuole pre-elementari. Ora sono dovuti tornare tutti nelle rispettive famiglie.

Da quel fatidico 15 agosto 2021 la priorità è stata salvare tutti coloro che lavoravano per il centro, che sarebbero state accusati di collaborazionismo con gli occidentali. La maggior parte sono riusciti ad arrivare in Italia grazie ai corridoi umanitari finanziati dalle Chiese e gestiti dalla Comunità di Sant’Egidio e dalla Caritas, in collaborazione con il governo italiano. Mancano ancora all’appello una decina di persone. Un bambino di 8 anni è ancora a Kabul con la nonna e sta aspettando di ricongiungersi con la famiglia già in Italia. Anche la famiglia di 9 persone del cuoco dell’associazione è ancora in Afghanistan.

Le famiglie legate all’associazione “Pro bambini di Kabul” sono state costrette ad emigrare in Pakistan ed in Iran perché non è possibile organizzare corridoi umanitari da Kabul. Sono inoltre necessarie spese enormi per comprare passaporto e visti e tempi lunghi. Previsto a dicembre, un corridoio umanitario è riuscito ad arrivare a Fiumicino a fine luglio, con circa 230 persone. In totale più di 7.000 afgani hanno fatto richiesta per venire in Italia o raggiungere i parenti altrove.

Padre Matteo Sanavio

Le notizie che arrivano dall’Afghanistan sono pessime”, racconta oggi al Sir padre Sanavio:

“Non c’è più nessun tipo di libertà, le scuole per le ragazze sono state tutte chiuse, il burka è obbligatorio, non c’è possibilità di sviluppo, la crisi economica è spaventosa.

Inoltre è impossibile mandare aiuti perché la corruzione è dilagante e i talebani controllano tutto, in entrata e in uscita. E’ impossibile anche inviare soldi”.

Solo riguardo alla situazione dell’infanzia in Afghanistan 12,9 milioni di bambini – 3 bambini su 5 – hanno bisogno di aiuto umanitario (dati Unicef). La malnutrizione infantile è in aumento vertiginoso. Nel giugno 2022 almeno 57.000 bambini sono stati ricoverati per malnutrizione acuta grave, con un aumento del 90%.  Nel Paese, il 28% delle ragazze si sposano prima dei 18 anni e il 13% delle famiglie ha almeno un minore tra i 6 e i 17 anni che lavora in difficili condizioni.

Preoccupati per chi è ancora in Afghanistan. “Adesso viviamo con un sentimento di angoscia – prosegue -. Siamo preoccupati per gli ultimi rimasti in Afghanistan e non sappiamo come aiutarli. Per fortuna quelli arrivati sono stati accolti dalle suore collegate alla nostra associazione e da un anno sono inseriti nei percorsi dell’accoglienza, tra Roma, Viterbo, Umbria, Treviso, Torino”.

“Avendo chiuso il centro ora ci concentriamo a sostenere le famiglie venute in Italia per farle inserire nella nostra realtà”,

spiega il rogazionista, che nel frattempo è diventato responsabile degli studenti di teologia dei rogazionisti a Roma.

Il suo giudizio sull’operato degli americani e degli occidentali è totalmente negativo: “O non hanno calcolato l’impatto dei talebani o peggio ancora avevano preventivato il loro rientro e per altre questioni economiche o geopolitiche hanno accettato di pagare questo prezzo e investire su altro.

Purtroppo, quando la logica dell’economia e del denaro prevale su tutto l’umanità passa in secondo piano e c’è solo distruzione. È la sconfitta dell’umanità”.

A distanza di un anno oggi “gli afghani sono persi e abbandonati a sé stessi – commenta il sacerdote -. È un popolo che ha sempre subito. Ci sono tante etnie, con tribù che prevalgono su altre. A farne le spese sono le etnie più svantaggiate.

Le piccole libertà che avevano non le recupereranno più finché ci sono i talebani. Possibilità di sviluppo non ce ne sono.

L’Afghanistan si regge sull’oppio, è un Paese al crocevia dei traffici di oppio e armi in Asia. I talebani fanno i loro affari su questo. La pesante responsabilità degli americani e degli occidentali è stata quella di illudere la popolazione che un futuro diverso sarebbe stato possibile ma si sono tirati indietro”.

 

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