Caldo e siccità. Card. López Romero (Rabat): “Siamo sulla stessa barca. O salviamo tutti o moriremo tutti”

Parla il card. Cristóbal López Romero, arcivescovo di Rabat, sull’ondata di caldo e siccità da un Paese come il Marocco dove la situazione “non è allarmante” ma “cronica”. “Quello che dice il Papa nella Laudato Si’ è un invito a prendere in considerazione il pianeta come casa comune di tutti e a tenere conto che l’umanità è parte del pianeta, non come dominatori ma come amministratori responsabili”, osserva l’arcivescovo

(Foto ANSA/SIR)

“Non è una situazione allarmante ma è un problema permanente e ricorrente. La siccità in Marocco è cronica. E’ un paese con scarsità d’acqua, e questo è un problema soprattutto tenendo in considerazione che una delle principali ricchezze del Marocco è l’agricoltura e la produzione agricola varia molto a secondo della pluviometria, la quantità di pioggia”. Raggiunto telefonicamente dal Sir, è il card. Cristóbal López Romero, arcivescovo di Rabat, a raccontare come, al di là della sponda del Mediterraneo, il Marocco sta vivendo questo momento di forte caldo e anti-ciclone sub-sahariano. “Quest’anno ci troviamo in un periodo di siccità abbastanza grave”, racconta il cardinale salesiano. “Le dighe che trattengono l’acqua destinata all’agricoltura, sono quest’anno al 33% della loro capacità mentre due anni fa erano al 70%. Il problema è che stiamo andando verso i mesi più critici di luglio e agosto, e con l’estate aumenta il calore. Può essere quindi che ci saranno restrizioni di acqua in alcune città. Ma ripeto, non siamo ancora di fronte ad un problema allarmante. Siamo in una situazione difficile e quello che si teme è che la produzione agricola non sia così buona come negli altri anni.”

Questa situazione cronica ha conseguenze sulla vita del popolo e sull’economica?

Si, soprattutto sull’economica degli agricoltori perché in caso di forte siccità, la produzione è minore e gli introiti diminuiscono. Ma non sono situazioni al limite della sopravvivenza che mettono le persone in pericolo di fame o sete o che in qualche modo obbligano a migrare. La siccità è un problema ciclico e cronico in Marocco. Nell’arco di 10 anni, ci sono 7 anni di siccità e tre anni di più pioggia. Tutto il sistema è costruito tenendo di questi cicli.

Il Marocco non ha quindi ancora situazioni di migranti climatici?

Qui in Marocco la migrazione è provocata da altre cause ma non il clima. Ci sono casi in cui gli agricoltori sono messi alla prova per molti anni di siccità e sono stati obbligati a emigrati nelle città, lasciando il lavoro dei campi. Ma ripeto, siamo in un Paese che è abituato a vivere in un contesto di scarsità di acqua e grazie a questo sistema di dighe che sono state costruite (sono almeno 200 in tutto il Paese ed ogni anno se ne augurano 3 o 4), ora il problema è minore e si può meglio resistere ai tempi di siccità e scarsità di pioggia.

Le cisterne delle dighe sono però attualmente ad una capacità del 30%. C’è preoccupazione?

E’ vero. La situazione è tranquilla ma non troppo. Dovremo aspettare e vedere come passerà l’estate. Potrebbe essere che in alcune città possono essere prese misure di restrizione di acqua con una erogazione di 8 ore al giorno anziché 24. Ma è una situazione che già molti paesi dell’Africa vivono tutto l’anno. In Marocco succede solo che la situazione di siccità lo richiede nel periodo estivo.

E’ vero che nelle moschee il venerdì si prega per il dono della pioggia?

Il Re chiede che si preghi il venerdì per la pioggia. E’ una preghiera abituale, per nulla straordinaria. Succede quasi tutti gli anni. Fa parte della storia del Marocco. E indica che siamo in un paese di credenti. Ma non indica nulla di allarmante né di catastrofico.

Alla luce della vostra esperienza, quanto è preziosa l’acqua?

È fondamentale per la vita umana e la conservazione del pianeta. Il buon uso dell’acqua deve essere compreso anche nell’educazione per formare le persone e soprattutto le giovani generazioni a non sprecare l’acqua e distruggere il pianeta. Stiamo invece assistendo ad una cultura che va purtroppo nella direzione opposta. La desertificazione è un pericolo che sta colpendo molti paesi dell’Africa, a sud del Sahara. In Marocco la questione è molto presente tanto che esiste una istituzione pubblica di lotta contro la desertificazione.

Lei vede che tra i migranti che arrivano in Marocco, cominciano ad arrivare anche quelli che dicono di arrivare da zone colpite dal cambiamento climatico e dalla desertificazione?

Molti migranti vengono dalle regioni del Sahara, dal Mali, Burkina Faso. Paesi che hanno subito già processi di forte desertificazione. Non è però facile qualificare i migranti. E’ difficile dire se siano migranti climatici o meno. In generale le persone che lasciano i loro paesi e vengono qui, lo fanno per motivi economici. Ma l’economia in gran parte dipende dal clima. Un anno buono di pioggia determina un’economia buona. Ma un anno di siccità e senza pioggia provoca un disastro economico nel paese. Il clima ha conseguenze sull’economia e l’economia provoca la migrazione. I fenomeni sono molto uniti tra loro.

Cosa dice l’Africa all’Europa?

In Africa, le terre sono ricchissime di risorse naturali ma è un continente delicato che non possiamo permetterci di distruggere. Quello che dice il Papa nella Laudato Si’ è un invito a prendere in considerazione il pianeta come casa comune di tutti e a tenere conto che l’umanità è parte del pianeta. Non come dominatori ma come amministratori responsabili. Distruggere i boschi o mal gestire l’acqua significa attentare contro la vita del pianeta e contro la vita umana. Tutto è unito. Come dice il Papa, siamo tutti sulla stessa nave che si chiama pianeta terra. Non ci sono alternative: o salviamo tutti e moriremo tutti.

Eminenza, cosa ha pensato dei nuovi cardinali?

Sono molto contento di avere nuovi compagni tra i quali ci sono due della mia congregazione e cioè due salesiani che conosco bene. C’è un cardinale nativo del Paraguay che vive in Paraguay. Ci sono sei asiatici. Qualche africano, qualche latino-americano. Solo due italiani, uno dei quali vive missionario in Mongolia. Credo che il Papa ancora una volta abbia dimostrato la sua intenzione di universalizzare la Chiesa, rendendola più cattolica, anche nel collegio cardinalizio. In questa maniera prosegue il cammino intrapreso da Francesco di una Chiesa in uscita, che va alle periferie. E questo stile si vede chiaramente anche in questo tipo di nomine.

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