Stati Uniti, 1 anno di Biden presidente. Un ritorno all’ordinarietà, tra luci e ombre

II primo anno di Biden non è stato così cupo come si è sentito descrivere e il discorso sullo Stato dell’Unione il prossimo 1° marzo potrebbe darne ampio rapporto. Avrebbe forse potuto ottenere di più e potrà farlo, se, come gli suggeriscono gli analisti politici, abbandonerà definitivamente i panni del senatore per entrare a pieno titolo in quelli da presidente

(Foto ANSA/SIR)

(da New York) Ordinario. Il primo anno di Joe Biden alla Casa Bianca ha riportato la presidenza americana all’ordinarietà, in un tempo straordinario e unico come quello di una pandemia che ha falciato oltre 850.000 statunitensi e ne ha contagiati più di 68 milioni; lasciandone, nel suo picco, oltre 22 milioni senza lavoro. Biden ha preso il timone degli Stati Uniti, il 20 gennaio 2021, in una tempesta che ben pochi commander in chief si sono trovati a navigare: un assalto al Campidoglio appena due settimane prima e un’elezione ancora considerata illegittima dal suo predecessore e da quasi metà dei cittadini che si trova a governare.

I primi mesi di Biden sono stati spiazzanti, almeno per i media. E non solo per le tante crisi che si sono succedute. La consultazione febbrile di Twitter, che dettava la giornata politica della precedente presidenza e che ossessivamente ne marcava le ore, ha ceduto il posto ad un’agenda ripetitiva, quasi noiosa, tremendamente ordinaria: briefing presidenziale al mattino assieme alla vicepresidente Kamala Harris, lavoro nello Studio ovale. Da mezzogiorno conferenze stampa o commenti ai dati economici; incontri o chiamate con i capi di Stato del mondo, viaggi negli Stati colpiti da tragedie o da crisi del lavoro per mostrare il supporto presidenziale o illustrare punti dell’agenda politica. Week-end divisi tra il ritorno a casa, a Wilmington in Delaware o nella casa di vacanza a Rehoboth Beach, e brevi sortite a Camp David. Questa promessa di normalità era quella che oltre il 60% degli americani aveva accolto con sollievo anche sul fronte repubblicano, ma oggi quegli stessi numeri esprimono invece un malessere per questi primi 365 giorni ancora travagliati.

Biden mercoledì ha chiuso il suo primo anno da presidente con un misto di successi e speranze frustrate, illustrati durante una conferenza stampa di 112 minuti.

Biden ha riconosciuto le “sfide”, ma si è anche vantato di “progressi enormi” nella lotta alla pandemia e nell’approvazione di importanti leggi come quella a supporto del recupero economico e quella sulle infrastrutture.

Indubbiamente le misure sulla salute pubblica hanno influenzato enormemente la traiettoria politica della sua presidenza e molti dei proclami ottimisti su un virus sconfitto, già lo scorso 4 luglio, sono stati pesantemente smentiti da una nuova variante, dalla resistenza all’obbligatorietà del vaccino, da ritardi nei test che avrebbero almeno potuto ridurre il numero di contagi e di morti.

Altro punto a sfavore il caotico ritiro dall’Afghanistan, imputatogli come una colpa e di cui lui non si pente.

Il trattato con l’Iran in stallo, ma anche la possibile invasione ucraina sono altre ombre sul primo anno di presidenza. Rispondendo sulla reazione degli Stati Uniti ad un possibile attacco di Mosca a Kiev, Biden ha dato l’impressione che non reagirà se si tratta di incursioni mentre prepara il pugno di ferro in caso di una vera e propria invasione. La Casa Bianca ha dovuto immediatamente chiarire che le reazioni, a qualunque azione russa, saranno dure e concordate con la Nato. Il presidente non è nuovo ad uscite che richiedono chiarificazioni successive, ma il numero è certamente inferiore a chi lo ha preceduto.

Biden non ha accettato di essere solo il perdente dell’anno durante la conferenza stampa, ma indubbiamente la sua insistenza sulla negoziazione, per tanti analisti politici a Washington, è stata vista come un prosieguo della sua carriera di senatore piuttosto che come l’assunzione dell’ufficio presidenziale.

I dati sull’economia in risalita danno ragione alle sue scelte: 6,4 milioni di posti di lavoro creati l’anno scorso, è un record con un tasso di disoccupazione sceso al 3,9%. Il tasso di povertà infantile è diminuito del 30% nell’ultimo anno, in gran parte grazie al pacchetto di incentivi, i crediti d’imposta sul reddito dei bambini, l’invio di assegni diretti. Wall Street non è mai stata così florida e i salari sono cresciuti del 6% circa. Però l’inflazione sta divorando i numeri positivi e qui sta alla Banca Centrale intervenire per salvare i risultati raggiunti. Sul fronte climatico, nonostante la forte opposizione interna sulla chiusura di pozzi di combustibili fossili e le nuove concessioni di estrazione, la sua amministrazione ha fornito ampi incentivi alle case automobilistiche per passare all’elettrico e il piano sta ampiamente funzionando.

Il presidente ha fatto concessioni sulle debolezze, anche questa una novità rispetto al precedente governo dell’eccezionalità sempre e comunque.

Biden ha detto di non aver visitato abbastanza le comunità del Paese, ma lo farà di più quest’anno. Ha ammesso di non aver ben comunicato le questioni relative al diritto di voto e che probabilmente ridurrà o separerà in progetti più piccoli il piano di spesa sociale bloccato da mesi al Congresso. Ha anche ammesso di essere partito in ritardo con la campagna dei test, ma ha assicurato che il 95% delle scuole sono aperte e nessun lockdown è stato imposto come lo scorso anno. Ha dichiarato inoltre di aver ampiamente sottovalutato la quantità di opposizione repubblicana che avrebbe dovuto affrontare, anche per la forte influenza che il precedente presidente continua ad esercitare sul partito. Dall’agenda è sparita la questione migratoria, ancora ostaggio delle norme di Trump che sono state reiterate da Biden in attesa di una riforma organica, ma intanto i respingimenti ai confini continuano, assieme ad aperture mirate, mentre il ricongiungimento delle famiglie separate al confine dalla scorsa amministrazione è stato quasi ultimato.

II primo anno di Biden non è stato così cupo come si è sentito descrivere e il discorso sullo Stato dell’Unione il prossimo 1 marzo potrebbe darne ampio rapporto. Avrebbe forse potuto ottenere di più e potrà farlo, se, come gli suggeriscono gli analisti politici, abbandonerà definitivamente i panni del senatore per entrare a pieno titolo in quelli da presidente.

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